Al civico 13/1 di via Mario Bianco, su un ingresso che sembra quello di una normale palazzina residenziale, solo una sbiadita targa grigia segnala qualcosa di diverso. Una scritta azzurra: Ospedale Niguarda Ca’ Granda, U.O.P. 50, C.P.S Centro Psicosociale, zona 12. Nel caldo asfissiante della Milano estiva, l’ingresso esterno di via Mario Bianco si trasforma in una sala d’attesa. Sono persone con patologie psichiatriche, con seri problemi a relazionarsi, con se stessi anzitutto, e anche con gli altri.
E’ qui che nel 2008 è arrivato uno studente per svolgere il suo tirocinio. Iscritto alla facoltà di medicina e chirurgia per conseguire la laurea in Tecnica della riabilitazione psichiatrica, Antonio Caggioni è approdato al Niguarda portando quello che da tempo la sua creatività di artista di strada aveva maturato: la giocoleria.
“Conoscevo un’esperienza simile fatta in Giappone e che aveva coinvolto una ventina di donne con disturbi post traumatici da stress, anche se molto diversa da ciò che avevo in mente io”, spiega Antonio Caggioni. Che al Niguarda incontra una tutor speciale: la dottoressa Laura Pezzenati, un nome noto negli ambienti dell’arteterapia. Laureata in Filosofia, è tecnico della riabilitazione psichiatrica e “Danzamovimentoterapeuta”. Da anni lavora al Niguarda e con la danzaterapia ha costruito progetti e percorsi individuali e di gruppo che hanno coinvolto pazienti psichiatrici, tossico e alcoldipendenti, adulti.
E’ anche fra i fondatori di ALTeRP, l’associazione Lombarda Tecnici della Riabilitazione Psichiatrica, insegna Danzaterapia (metodo Fux) presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Milano, laurea in riabilitazione psichiatrica, appunto, ed è coordinatrice e docente della formazione triennale in Arteterapia clinica e del corso annuale di tecniche espressive a mediazione corporea e non verbale tenuti dall’associazione Lyceum.
Nasce dall’incontro fra queste due figure una pratica clinica decisamente innovativa, fondata su clave e palline, cioè sugli attrezzi del mestiere di un giocoliere, e incentrata sulla relazione e sulla espressività. E’ l’unica esperienza analoga in Italia e anche se si guarda all’Europa non si trova nulla di simile. Il Cirque du Soleil, impegnato anche in attività sociali, in anni più recenti ha tentato un percorso all’interno di un ospedale psichiatrico di Montreal, ma l’ha interrotto abbastanza rapidamente. Quello del Niguarda, dunque, è un caso più unico che raro e forse non a caso il primario di questa struttura (psichiatria 3) del Ca’ Granda risponde al nome di Leo Nahon, che ha iniziato a lavorare a Trieste come assistente di Franco Basaglia.
Il gruppo di giocoleria, condotto da Antonio Caggioni e Veronica Villa, “nasce con l’idea di offrire uno spazio che risulti più accattivante per i pazienti più giovani in carico al Centro”. E questa nuova iniziativa viene accolta con entusiasmo e curiosità dai partecipanti. A stimolare l’interesse ci sono anche la costruzione delle palline che verranno poi utilizzate, e un piccolo spettacolo da portare in scena.
“Abbiamo notato subito un cambiamento importante da parte dei fruitori del Centro diurno”, dice Antonio, “pian piano si liberavano dei loro movimenti stereotipati, mossi principalmente dal desiderio di riuscire negli esercizi di giocoleria”. Alcuni, abituati a camminare strisciando i muri o mantenendosi a debita distanza dalle persone, evitando qualsiasi tipo di contatto, cominciano a lanciare in aria le palline e lo fanno al centro della palestra nella quale si svolge il corso (1 ora settimanale), “senza rete” si potrebbe dire, cioè abbandonando le difese tipiche di soggetti schizofrenici con enormi difficoltà a relazionarsi. Addirittura il contatto non è più un problema, si mettono in fila, si scambiano le palline, scatta la collaborazione e nascono sguardi di complicità all’interno del gruppo. E’ ancora Antonio che si sofferma su questi piccoli ma significativi miracoli della giocoleria: “Manipolare degli oggetti facilita l’acquisizione di una migliore conoscenza del nostro corpo, dei suoi limiti e di come può rapportarsi all’altro”. Nel 2009 il gruppo di giocoleria del Cps di via Mario Bianco, partecipa anche ad una uscita esterna, al teatro degli Arcimboldi di Milano per assistere allo spettacolo Circus Oz. Nel marzo del 2010 a Torino c’è il Cirque du Soleil ed ecco l’occasione per assistere ad un altro spettacolo, Saltimbanco.
“Anche grazie alla partecipazione a questi eventi, che hanno fornito stimoli creativi e motivazionali, su proposta degli utenti stessi è nata l’idea di organizzare in proprio uno spettacolo di teatro di strada, mettendo a frutto le tecniche apprese durante il gruppo di giocoleria”, racconta Antonio. Si chiamerà Incontri allontanati del III tipo lo show creato dagli utenti del Centro, che solo nel titolo la dice lunga sugli spettri che popolano la mente di queste persone. Ma scena e spettacolo significano anch’essi relazione, contatto col mondo esterno. “Questo può portare gli utenti stessi a potersi pensare autori e registi della propria vita, scrivendo un copione forse migliore per il loro futuro”, commenta Antonio. “La creatività abbinata al rigore”, è la sintesi della fortuna che la giocoleria riscuote anche fra i pazienti psichiatrici ed è questo il tema della tesi di laurea che questo giovane “doctor juggling” ha discusso all’università di Milano nell’anno accademico 2009-2010. Una esperienza, quella fatta al Niguarda, che lo ha già portato in convegni internazionali a presentarne i risultati. “Il circo in ambito sociale è molto diffuso, manca invece un punto di riferimento per quanto riguarda l’utilizzo di queste discipline a scopo terapeutico, poche sono le esperienze in atto”.
Adesso il “laboratorio” di juggling therapy del Niguarda si è concluso e per ripartire c’è bisogno che si ripresenti la coincidenza di condizioni ottimali che si era avuta fra 2008 e 2010. E non sarà facile. Ma intanto un bilancio lo si può tentare e a tracciarlo è Laura Pezzenati: “Evidenze cliniche della juggling therapy al momento non ce ne sono, ma evidenze relazionali certamente si, cioè aspetti di tipo qualitativo ne abbiamo riscontrati. La comunicazione non verbale, il linguaggio del corpo, l’imitazione, sono strumenti immediati, accessibili a chiunque, e che bypassano le interferenze della mente”. E la dottoressa esemplifica una serie di queste evidenze comportamentali: “Si è notato che i pazienti che hanno frequentato il corso di giocoleria sono diventati maggiormente in grado di relazionarsi con gli altri, si sono aperti, anche cominciando ad invitare amici a casa, mentre prima erano decisamente isolati. Si lasciano avvicinare di più…, insomma tutte sfumature che descrivono una nuova socializzazione”. Laura Pezzenati maneggia l’arteterapia da diverso tempo, ed è anche in grado di cogliere all’interno della famiglia delle arti “curative”, il posto peculiare occupato dalla giocoleria: “La cosa che ho trovato straordinaria della giocoleria è la possibilità di raggiungere un obiettivo più facilmente se imparo a collaborare con l’altro. E per i nostri pazienti, totalmente concentrati su loro stessi in senso patologico, questo è davvero importante”. E’ sempre lei a parlare: “Queste persone hanno solo esperienze di fallimenti a tutti i livelli (relazionali, affettivi, abitativi…) e con la giocoleria hanno rimesso in gioco la possibilità di sbagliare per imparare, hanno fatto un percorso in cui nessuno li ha giudicati e ‘bollati’ come disabili o incapaci. Questo è molto bello e loro l’hanno colto immediatamente”. Viene fuori che la giocoleria è un’ottima terapia anche in situazioni sociali più normali: “Ad esempio per gestire i conflitti all’interno delle aziende, far nascere la collaborazione e indicare obiettivi in grado di motivare”. Un po’ la strada seguita dal fondatore di Mediolanum, Ennio Doris, che però anziché alla jonglerie si è affidato alla clownerie e ad un leader carismatico come Patch Adams.
Claudio Monti