di Raffaele De Ritis
Questo articolo è parte del progetto Il circo italiano a Monte Carlo, che racconta i vincitori tricolore della più importante manifestazione circense al mondo. Scopri tutti i video, gli articoli e le interviste.
Da acrobati a mattatori della risata. Due “sangue misto” che diventano interpreti della tradizione. Una carriera che cresce attingendo da spunti della storia del clown. La dimostrazione di come la capacità di adattamento, dai tempi dei Comici dell’Arte, sia una delle doti principali che permettono di diventare fuoriclasse.
“Fumagalli” pare la firma fugace e incisiva di un pittore, di uno scienziato pazzo da fiaba, o uno di quei nomi desueti del cinema muto italiano, di cui non si sa, non importa se corrisponda a un soprannome, un nome o a un cognome. Le sillabe traballano allegramente sulla lingua come per “Pulcinella”: e al pari di ogni maschera italiana può essere l’appellativo arcaico di uno zanni furbo, nel richiamo di un padrone rassegnato ma poi complice. Del resto, “Fumagalli” è nome da circo non di un individuo ma più propriamente di un duo comico: Giovanni e Daris Huesca, traghettatori ai nostri giorni dell’estremo collegamento diretto con la Commedia dell’Arte. E come tali, era nel loro destino la consacrazione a Monte Carlo. Il Festival nella sua prima decade aveva proposto una selezione notevole dei migliori clown del tempo. Ma a differenza di acrobati o domatori, si è dovuto aspettare oltre un decennio perché maestri della risata potessero regolarmente accedere al podio. Forse perché l’arte clownesca tra gli anni ‘70 e ‘80 si snodava su convenzioni prevedibili, addirittura considerata da alcuni direttori letteralmente un “male necessario” alla composizione dello spettacolo. O anche, al Festival, per l’impegnativo confronto sia con gli inarrivabili talenti acrobatici che con lo spazio della sterminata arena ovale delle prime edizioni (una dannazione per le sottigliezze dell’arte mimica).
Nonostante il passaggio di vere leggende della più disparata estrazione (dalla poesia composta di Annie Fratellini al grottesco iconico di un senile Lou Jacobs), la comicità accede ai massimi premi solo occasionalmente e in forme quasi parallele al genere. George Carl, con il primo Oro a un buffone (1976), venne classificato come comique excentrique, un paradosso: negli anni in cui la parola clown veniva sdoganata con convinzione fuori dai tendoni, al contrario il mondo della pista esprimeva ancora qualche pudore nell’estensione dei propri generi. Per premiare un clown sembrava si dovesse aspettarne uno col naso rosso. L’Oro senza sorpresa ad Oleg Popov (1981) era deliberatamente assegnato alla carriera: più con la nonchalance di una passerella del tramonto che per una effettiva presa sul pubblico. Così come nel 1985 non si può dire che l’Argento al russo Yuri Kuklatchev celebrasse l’arte della risata, nel genere più mimico-teatrale del “clown di tappeto” sovietico con i suoi gatti ammaestrati. Questa generale ingessatura viene molto lentamente erosa con alcuni Argento negli anni successivi (David Larible 1988, Peter Shub 1993, Bello Nock 1998) e poi con l’Oro a David Larible nel 1999. Troppo poco certamente, rispetto alle statuette a trapezisti, acrobati, domatori. Pudori delle giurie? Proverbiale crisi del clown? Era però un’epoca in cui nel mondo del clown classico qualcosa accadeva, e come. In particolare, Bernhard Paul negli anni ‘90 nel suo circo Roncalli, in Germania, dava vita a una scuderia progressiva di fuoriclasse comici, saturando la propria pista con i migliori talenti del proprio tempo: intuendo di ciascuno il potenziale, contaminandoli tra loro, e dando ad essi una nuova forma. Il risultato di questa fucina, che può tranquillamente essere ormai storicizzata come rinascita del clown, ebbe una ricaduta immediata sui circhi migliori di quel tempo (Knie, Big Apple, Carré, Kaleidoscape, Bouglione e molti altri).
Al Circus Roncalli, di questa scuderia della risata continuamente fluida e mutevole negli anni, la forza più dirompente fu proprio Fumagalli. Arriva a Monte Carlo nel 2001, al termine del suo periodo col circo di Bernhard Paul, dopo sette anni dalla creazione del suo personaggio. E arriva come un uragano. L’immensa circonferenza della gradinata di Fontvieille, dilatata come una infida trappola per minare l’empatia tra clown e pubblico, diventa un fuoco d’artificio di gioia e follia. Il repertorio è dominato da due pezzi tra i più noti da secoli immemorabili: le “cadute” acrobatiche sul tavolo (forse il più antico e semplice attrezzo dei saltimbanchi) e l’antica piéce farsesca del “re delle api”.
È il mistero dei grandi virtuosi: un monologo classico, una sinfonia orchestrale, una celebre canzone o una semplice barzelletta di repertorio sono accessibili a qualunque interprete: ma diventano capolavoro nelle mani dei fuoriclasse. Gianni e Daris sono una sintesi formidabile di sangue e sapere circense (entrambi di madre viaggiante, Daisy Huesca), benché nati da due padri “fermi”. Enrico Fumagalli (di cui lo stesso figlio Gianni sa poco) era il nome italiano di un ebreo austriaco fuggito dal nazismo, che arriva al circo diventando clown. “Enrichetto” negli anni ‘60 si esibisce al circo dei fratelli Orfei (in trio con Ferdinando Squarzoni e Amleto Cagna). Gli anni ‘60 e ‘70 sono l’ultima epoca del repertorio farsesco, che i giovanissimi figli assorbono, grazie anche a un groviglio unico di parentele. Mamma Daisy è stretta cugina sia di Nani Colombaioni (la controfigura di Fantozzi) che di quel ramo dei circensi Dell’Acqua datosi al cinema. Daris e Gianni crescono dunque all’ombra di quella misteriosa ma densa scena romana di transfughi del circo, tra grandi cascatori di cinema e ultimi assi dell’avanspettacolo.
Ma la carriera a cui i due fratelli si danno è l’acrobazia: seguono la sorella maggiore, Elvira, che ha sposato l’acrobata tedesco Hans Brukson. Con lui ereditano la terza “generazione” di un numero spettacolare e difficilissimo, i Feller Boys, che combina equilibrio sul filo e bascule (con esercizi mai eguagliati). Il matrimonio di Gianni con Angela Fossett (l’aristocrazia circense irlandese) è un’occasione di incursioni occasionali nella comicità, con la partecipazione come character alle annuali pantomime natalizie di Dublino. A differenza di altri artisti del loro tempo, i due fratelli diventano clown in età matura e per gradi: ma è quel che accadeva una volta con i grandi della risata (i Fratellini, i Rivel, Maiss, fino a George Carl) sulle radici di una eccezionale carriera acrobatica. Per qualche tempo creano un buon numero di bascule, il “Duo Daris”, che con l’età trasformano in un classico: l’acrobazia eccentrica sul tavolo. È con questo numero, sulle piste europee, che a tratti riemergono le finezze comiche, le gag ancestrali, assorbite per osmosi nell’infanzia italiana di quel loro vivace albero genealogico di buffoni e cascatori.
Daris diventa un fair-valoir ironico dal timing formidabile; Gianni inizia ad accennare i tratti un grottesco dalla spontaneità disarmante. Entrambi, forse forti degli anni di bilanciamento sul filo, sono capaci dell’equilibrio più perfetto e sottile tra improvvisazione e rigore. È in questa chiave che li scopre Bernhard Paul, nell’autunno ‘94 a Graz, quando ravvivano lo spettacolo un po’ decadente di addio del circo di Elfi Jacobi-Althoff. Il loro numero comico-acrobatico fa brillare gli occhi di Paul, che li ingaggia per il circo Roncalli. I costumi da eccentrici diventano uniformi di pista: di sartoria impeccabile per Daris e ovviamente fuori taglia per Gianni (come nell’unica foto di Tom Belling, inventore dell’august). Compare la truccatura bianca sbiadita del papà e dunque il nome Fumagalli. Manca il tratto distintivo: sarà Frédy Knie Sr. (capace di intuizioni profetiche sui clown per tutta la vita) a suggerire l’idea dei tre ciuffi dritti come scosse elettriche.
Con ammirevole umiltà, Gianni si affida alla guida di Francesco Caroli per comporre in punta di cesello la più popolare farsa del comico popolare: il “miele” (in cui a Gianni è proposto di sostituire Tino Fratellini, troppo presto scomparso). Il tema dell’“imbroglione imbrogliato” nella burla mal orchestrata basata su lazzi con l’acqua, affonda le radici nella pantomima dialogata del XVII secolo, se non prima. Diventa il cavallo di battaglia di tutti i piccoli circhi, perché l’improvvisazione può dilatarne il canovaccio all’infinito: è il principio dell’“entrata comica”, un genere che fa parte del circo dal 1910 al 1970 circa, transfuga dall’estinzione delle baracche di fiera. In Italia, il “miele”, o l’“ape regina” è il banco di prova di qualunque clown. Negli anni ‘10 la pièce entra nel grande repertorio francese con Dario e Bario, e negli anni ‘70 è cavallo di battaglia di Dedé, Alexis Gruss e Tino Fratellini al Cirque à l’Ancienne. Fumagalli scopre il lavoro in trio, si adatta, e finalmente domina la materia. Scriveva Tristan Rémy che la resistenza nel tempo di un’entrée di repertorio sta nell’arricchimento progressivo da parte dei propri interpreti. La nuova versione assorbe infatti a sua volta due brillanti variazioni: il re sul trono dei Colombaioni, e la irresistibile sostituzione dell’acqua con l’ebrezza alcoolica (dalla versione dei Chicky’s): inserendo così lazzi tra i più difficili della Commedia dell’Arte. Daris e Gianni sono già artisti maturi, praticamente alla fine di una carriera acrobatica: si rimettono in discussione tuffandosi semplicemente nel repertorio del loro stesso DNA. È dunque dopo sette anni di questa palestra che escono dalla bomboniera del circo Roncalli e arrivano a Monte Carlo.
Il Festival li proietterà nell’inarrestabile circuito dei maggiori circhi del mondo, in cui riportano questa materia praticamente estinta: la farsa clownesca, con le sue basi acrobatiche. Tornano al Festival nel 2006, nel programma fuori concorso del trentennale. Il progetto era di creare dei numeri irripetibili con i propri colleghi. Ma alla primissima entrata in pista un incidente acrobatico taglia fuori Fumagalli dalla settimana di “non” competizione celebrativa. Resteranno però in eterno le immagini che ritraggono insieme Fumagalli, David Larible, Oleg Popov, Bello Nock, Andrei Jigalov, come segno di una grande rinascita del clown di pista. Fumagalli tornerà a Monte Carlo in grande stile nel 2015, vincendo il Clown d’Oro, e infine per la quarta volta nella partecipazione onoraria del 2024 (anche con il cameo dello splendido bianco Yan Rossian): un premio alla carriera bello quanto il platino.