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Flavio Togni: “Gli animali tolti dai circhi sarebbero degli orfani”


“Sottrarre gli animali che vivono da decenni nei circhi e che sono nati in cattività, sarebbe come strappare un bambino alla sua famiglia e rinchiuderlo in un orfanotrofio”. Sceglie una immagine forte Flavio Togni, uno dei più noti ammaestratori italiani e fra i più quotati sulla scena internazionale, per rendere al meglio un pensiero molto diffuso fra la gente del circo. E non solo, per la verità. Anche diversi etologi, veterinari e zoologi (l’ultimo in ordine di tempo da noi intervistato è stato il prof. Alberto Simonetta dell’università di Firenze) sono più o meno arrivati alle stesse conclusioni.
In questi giorni Flavio sta mettendo a punto i cinque numeri rigorosamente con animali che presenterà alla 35esima edizione del Festival del circo di Monte Carlo, dove in passato ha già vinto tre Clown d’Argento. In questa intervista esclusiva a Circo.it parla dell’annosa querelle sugli animali, della sua infanzia trascorsa nelle scuderie del circo di famiglia, dei tigrotti veri coi quali ha iniziato a familiarizzare quando era ancora in fasce, dei suoi maestri “di gabbia”, delle esibizioni e relativi bagni di folla al Madison Square Garden, dei Reali di Monaco. Ma soprattutto parla degli animali esotici e della loro “personalità”, e di quella pista di segatura che è l’orizzonte amato della esistenza dei circensi.
“Perché creare degli orfani quando la famiglia del circo è in grado di accudire al meglio le specie che vivono al proprio interno?”, si domanda provocatoriamente Flavio Togni.
Sembra di capire che lei ribalti la frittata: gli animali vivrebbero un trauma se fossero tolti dal loro habitat sotto il tendone per essere messi in qualsiasi altro luogo.
“Esatto. Anzitutto uno di questi luoghi non potrebbe essere la savana, cioè il ritorno alla natura selvaggia, perché questi animali morirebbero nel giro di qualche minuto. Se invece dovessero finire in uno zoo o in un’altra struttura ‘protetta’ di cui parla qualche associazione animalista, sarebbero privati di quella attività quotidiana di ammaestramento, gioco ed esibizione negli spettacoli che movimenta e rende vivaci le loro giornate, piombando nella più completa monotonia. E poi…”
Dica.
“Perderebbero il contatto con chi nei circhi si prende cura e si è affezionato a loro, e viceversa. Perché questi animali sono abituati a vivere con noi. Io li chiamo per nome i miei animali e ci intendiamo con uno sguardo”.
Addirittura!
“Certo. Chi parla della violenza come lo status normale dei rapporti fra uomo e animale nel circo non ha capito proprio niente. Non è con metodi coercitivi che si possono insegnare i vari esercizi che gli animali compiono durante gli spettacoli”.
Non è quello che sostengono a spron battuto e con campagne altisonanti gli animalisti d’assalto.
“I professionisti dell’animalismo recitano un ruolo, a mio parere per convenienza economica o politica o di altro tipo, altrimenti non si spiegherebbe tanto accanimento. Le prove che facciamo sono aperte a tutti, lavoriamo sulle piazze, che sono per eccellenza luoghi pubblici. Se i circhi fossero davvero i lager di cui parlano, la realtà non si potrebbe nascondere tanto a lungo. Invece, checché ne dicano, i casi di maltrattamento accertati in decenni di attività e nonostante un alto numero di complessi (oltre un centinaio), si contano sulle dita di una mano”.
Ma gli animalisti le replicherebbero: ammesso e non concesso che i maltrattamenti fossero pochi, nella totalità dei casi si tratta di animali privati della loro libertà, che starebbero meglio nei loro paesi d’origine.
“Questo è tutto da dimostrare e tradisce una visione delle cose che ovviamente è lecita, ma molto idilliaca. Nel loro ambiente naturale gli animali vengono uccisi tanto è vero che alcune specie sono a rischio d’estinzione. Nelle battute di caccia nel continente africano muoiono milioni di animali. Il paradiso terrestre esiste solo nella mente degli animalisti. Io penso che negli zoo e nei circhi gli animali corrano meno rischi e vivano meglio. I bambini africani o di un altro paese in cui le condizioni di povertà ne mettono a rischio l’esistenza, forse preferirebbero rimanere là, mentre esistono le adozioni che offrono una prospettiva di vita migliore. E’ meglio entrare a far parte di una famiglia che vive in un appartamento nel centro di Roma o morire di fame in un villaggio sperduto dell’Africa? Io ritengo sia meglio la prima ipotesi e lo stesso ragionamento lo faccio per gli animali”.
Ma i circhi utilizzano animali selvatici prelevati dal loro ambiente o nati in cattività?
“Solo nati in cattività. Da decenni tutte le specie esotiche utilizzate nei circhi in Europa sono nate in cattività”.
Flavio Togni quando ha detto per la prima volta “io farò l’ammaestratore”?
“A giudicare dalle fotografie che mi hanno scattato i miei familiari, è successo quando ero molto piccolo. Ne ho una di quando avevo un anno e mezzo e stavo accucciato davanti ad un tigrottino”.
In carne e ossa ovviamente, non un peluche come accade a quasi tutti i bambini.
“Vero, certo. Poi all’età di quattro anni insieme ai miei cuginetti, un po’ più grandi me, siamo saliti sui pony che erano nella scuderia e senza dire niente a nessuno abbiamo fatto un giretto. Mio papà e mia mamma mi raccontano che quando ho cominciato a camminare a volte non mi trovavano più e per riacciuffarmi dovevano andare nel solito luogo: le scuderie degli elefanti o dei cavalli, dove io andavo a giocare”.
Con quali animali ha familiarizzato prima?
“Oltre al tigrotto, direi con i cavalli perché sono i più semplici da avvicinare. Con gli elefanti, invece, molto più tardi. Avevo nove anni, mentre ci sono salito sopra a quattordici anni. A questa età ero responsabile della scuderia. La mia passione sono sempre stati i cavalli, ma siccome c’era bisogno che qualcuno si occupasse anche degli elefanti, insieme a mio cugino Tommy Cardarelli ho iniziato a farlo io. All’epoca era lo zio Willy Togni che li presentava in pista. Io li accudivo, davo loro da bere e da mangiare”.
A che età è arrivato il primo numero in pista davanti al pubblico?
“La prima volta è stato nel 1967 a Palermo e ho cavalcato un elefante in un numero che presentava mio zio Bruno. Avevo un costumino da Maharaja e con me c’erano Gabriella, Loris ed Elvit, i miei cugini. Il primo numero di alta scuola con i cavalli invece è stato quando avevo 13 anni e sempre lo zio mi fece esibire quando eravamo a Napoli allo spettacolo del mattino per le scuole. Poi insieme a Tommy, Loris e Elvit abbiamo formato un gruppo che è stato chiamato i Togni Junior, grazie al quale abbiamo partecipato per la prima volta al Festival di Monte Carlo nel 1974”.
L’animale più pericoloso col quale ha avuto a che fare?
“Il rinoceronte. E’ il meno intelligente e direi anche un po’ ottuso. Impara pochissimo ed è pericoloso. Mentre il più difficile fra quelli coi quali io lavoro, è il cavallo, in particolare lo stallone perché è molto esuberante, ha bisogno di sfogarsi e occorre ripetere ogni giorno gli esercizi, tenerlo sempre in allenamento. Poi per grado di difficoltà vengono le tigri”.
Invece quelli che danno meno problemi?
“Gli elefanti perché sono molto intelligenti, si ricordano tutto e apprendono facilmente”.
Quanto conta il carattere in questi animali?
“Ogni specie ha il suo carattere e sta nella capacità dell’ammaestratore di riuscire a tirare fuori il meglio. Così come ci sono artisti più adatti a cimentarsi in certi numeri ed in altri meno, lo stesso si può dire degli animali. Dipende dalla stazza fisica, dal carattere, dalla personalità direi…”
Personalità?
“Sì e il bravo ammaestratore è colui che sa capire, adeguarsi e valorizzare la personalità di ogni singolo animale”.
In quale lingua lei parla ad un animale esotico?
“Ci sono diversi linguaggi ma quello che conta è avere sempre una intonazione vocale calma e pacata in modo che quando si varia un po’ la tonalità, l’animale coglie la differenza e si comporta di conseguenza. E’ su questo che si basano i comandi, non – come sostengono certi animalisti – sulla coercizione”.
Però adesso deve spiegare ai tanti curiosi che se lo staranno domandando, quali sono questi diversi linguaggi.
“Per i cavalli è un misto di tedesco, francese e nel mio caso anche qualche parola di italiano. Questo perché bravi addestratori sono stati tedeschi, francesi e italiani. Mentre per le tigri si usano soprattutto inglese e tedesco”.
E agli elefanti in quale lingua si rivolge?
“In un particolare tipo di Esperanto che conoscono gli ammaestratori di elefanti ed è un mix di inglese, indiano e tedesco. I primi elefanti che sono arrivati nel nostro continente da quello asiatico fra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, grazie a circhi che hanno fatto le loro tourneé, come il circo Busch. All’inizio chi si prendeva cura degli elefanti erano gli indiani i quali, stando in Germania, hanno aggiunto via via alcuni termini in tedesco. Altri circhi americani sono stati in Asia ed è avvenuto uno scambio di elefanti… Così è nato questo linguaggio formato da tre idiomi”.
Chi sono stati i suoi ammaestratori di riferimento?
“Il più importante in assoluto mio zio Bruno, che è riuscito a lavorare con varie specie di animali. Mentre per i cavalli Ferdinando Togni. Poi il mio maestro, che mi ha insegnato moltissimo con i cavalli ma anche con gli elefanti, è stato Rudy Enders. Nell’elenco metterei anche Alexis Gruss junior e Fredy Knie, senior e junior. Ma direi che da tutti c’è sempre da imparare perché ogni ammaestratore scopre cose nuove lavorando con gli animali e la cosa migliore è riuscire a rubare con gli occhi qualcosa da tutti.”

Gunther Gebel-Williams
Ma un idolo l’ha avuto?
Certamente sì, Gunther Gebel-Williams. Da bambino invece dei poster dei Rolling Stones in camera mia avevo quello di Gunther Gebel”.
Una tigre è capace di mostrare affetto o se non si mangia il domatore è già molto?
“Dipende da tigre a tigre, ad alcune piace essere accarezzate e coccolate, altre non vogliono essere toccate ma gradiscono fare solo ciò che vogliono e nel momento in cui decidono di farlo. Non vanno assolutamente forzate. Ci vuole sempre rispetto, senza dimenticare mai che sono dei grossi felini, dei carnivori, e a volte il gioco può trasformarsi in una tragedia”.
Cosa presenterà alla 35esima edizione del Festival di Monte Carlo?
“Cinque numeri di animali: cinque elefanti asiatici, dodici cavalli in libertà (albini ispano-arabi), un numero di alta scuola con quattro cavalieri (oltre a me, mia cugina Cristina, Hans “Boul” Soppemaier e Jessica Gobbi), uno con quattro cavalli ed altrettanti cammelli e infine cinque tigri”.
Cos’è il Festival di Monte Carlo per un artista del circo?
“Per me in particolare è stata la spinta alla mia carriera. Ho partecipato la primo Festival quando avevo 14 anni ed è stata una emozione incredibile oltre che una soddisfazione indescrivibile che mi ha dato forti stimoli. Nel 76 eravamo a Sanremo col circo Americano ed è venuto un rappresentante del Festival che mi ha visto lavorare con gli elefanti e mi ha proposto di tornare a Monte Carlo, dove ho vinto il primo Clown d’Argento con un numero di tredici elefanti asiatici. Questo mi ha dato l’impulso per continuare e fare sempre meglio. Poi ho partecipato a vari festival dove ho sempre ottenuto ottimi risultati, ma quello monegasco ti dà ogni volta qualcosa di più, nuove energie e ispirazioni”.
Da Monte Carlo lei è tornato a casa per tre volte, le altre due nell’83 e nel 98, col Clown d’Argento, cosa si aspetta stavolta?
“Sarei contento di ottenere un altro Clown d’Argento perché significherebbe che nell’arco di quasi 35 anni ho sempre mantenuto un ottimo livello”.
Lei ha conosciuto SAS Ranieri III?
“L’ho incontrato varie volte ed ho parlato con lui. Lo ricordo come un grande appassionato e conoscitore di circo, in particolare un ottimo osservatore. Riusciva a far notare con discrezione anche le sbavature e in modo delicato e intelligente dava dei consigli per migliorare”.
Le sembra sia cambiato qualcosa con la conduzione dei figli, in particolare di Stephanie?
“E’ naturale che sia cambiato qualcosa perché si tratta di generazioni e ottiche diverse. L’amore per il circo di Alberto e Stephanie è molto forte e la principessa continua ad impegnarsi con tutte le sue energie per portare a casa un ottimo risultato, che fino ad ora c’è sempre stato”.
A un certo punto della carriera è arrivato per lei l’approdo da Ringling: che esperienza è stata?
“Ho debuttato a fine dicembre dell’89 a Venice, Florida, e sono rimasto da Ringling due anni toccando 92 città. Un’esperienza bellissima. Lavorare al Madison Square Garden, il tempio mondiale dei più grandi eventi artistici, sportivi e musicali, è qualcosa di fantastico. Alcuni sabati c’erano 15 mila spettatori per spettacolo, e ne facevo tre… 45 mila persone che vedono il tuo lavoro in un giorno e ti applaudono, beh, ti dà una emozione unica”.
L'American Circus sulla Piazza Rossa
In quali altri nazioni ha lavorato?
“Olanda, Germania, ex Jugoslavia, Stati Uniti. Sono stato anche a Mosca ma non come artista. E’ successo quando il circo Americano ha organizzato il Festival del Circo di Mosca e abbiamo montato il nostro tendone sulla Piazza Rossa”.
Cos’è il circo per Flavio Togni?
“La vita. Tutto”.
L’emozione più bella che le ha regalato?
“Il primo Clown d’Argento a Monte Carlo. E tutti i giorni vedere il sorriso dei bambini che vengono al circo e che si divertono. Nel sorriso di un bambino c’è tutta l’onestà e la sincerità del mondo”.
Ha figli?
“Sì due, Bruno e Adriana”.
Anche loro seguiranno le orme di papà?
“Io lo spero. A me nessuno ha imposto di seguire la tradizione di famiglia, l’ho fatto per scelta e spero che loro facciano lo stesso. So, vedendo il loro orientamento, che sono appassionatissimi di circo”.
E di animali?
Bruno e Adriana Togni
“Anche. Ad Adriana piace moltissimo montare a cavallo, cavalca bene l’altra scuola, ha anche provato a cimentarsi nel numero di acrobazia equestre con la famiglia di Elvio Togni. Bruno è appassionato di cavalli e soprattutto di elefanti e in questi giorni ha presentato i cammelli nello spettacolo dell’American Circus allestito nella città di Verona. Gli piace molto stare a contatto con gli animali ma è anche appassionatissimo di giocoleria”.
Non la preoccupa che i suoi figli crescano in un lavoro così duro e anche un po’ pericoloso?
“Il circo è la vita e io sono contento della mia vita. Se Bruno e Adriana faranno la stessa vita penso che saranno contenti anche loro. Perché è vero che è un mestiere durissimo ma regala soddisfazioni uniche”.
I Togni Junior
Il circo italiano ha bisogno di rilanciarsi oppure gode di una salute soddisfacente?
“E’ in salute. Se sia soddisfacente o no non saprei dire. Ci sono circhi e circhi e quelli di buona qualità e di livello alto godono di buona salute e sono anche apprezzati dal pubblico”.
Qual è il problema principale che incontrano i circhi per lavorare in Italia?
“La burocrazia, che in modo così esasperato è presente soltanto in Italia. In altri Paesi i controlli ci sono e sono professionali. Riguardano sia le strutture che gli animali, ma non vengono fatti in modo così esasperante come in Italia”.
Dove sta la differenza?
“Una commissione di collaudo francese, ad esempio, è formata da tre persone al massimo, in Italia anche da 18 o 19 soggetti che spesso non sono d’accordo fra loro e che si presentano in ordine sparso. Le lascio immaginare cosa può significare per la nostra attività”.
La situazione è peggiorata negli ultimi anni oppure è così da tempo?
“E’ peggiorata negli ultimi 15 anni. Prima l’Italia era uno dei paesi migliori per lavorare, tanto è vero che venivano i circhi stranieri. Adesso le parti si sono invertite. Quando noi raccontiamo all’estero i problemi che incontriamo, i nostri interlocutori restano increduli”.
Ed è questo il motivo per cui diversi circhi italiani oggi lavorano all’estero?
“Sicuramente questo è uno dei motivi principali e poi c’è anche il fatto che all’estero il circo è più apprezzato che in Italia, anzitutto dalle istituzioni”.
Quindi l’Italia, che ha esportato il circo nel mondo, ha poca sensibilità verso l’arte della pista?
“Per quanto riguarda le istituzioni è sicuramente così. Io vengo da una esperienza francese molto recente. Ci siamo trovati col circo in una zona, Valenciennes, in cui era tutto bloccato dalla neve e dal ghiaccio. Dovevamo smontare di domenica e il prefetto si è attivato subito nonostante il giorno festivo: ha tolto dalle strade una ruspa molto grande e due spargisale e ce li ha messi a disposizione dalle tre del pomeriggio alle nove di sera per liberare il percorso dalla piazza in cui eravamo fino alla stazione. Gli spargisale sono rimasti a nostra disposizione fino alle 3 del mattino. In Italia non sarebbe mai successo”.
Claudio Monti