“Comico è tutto quello che fa ridere. Tutto quello che fa ridere rallegra. Tutte le persone sofferenti: malati di mente, depressi e malati in genere trovano nella risata una terapia molto efficace. Sembra una contraddizione, ma comico e tragico sono la stessa faccia di qualunque problema umano: tutto quello che fa ridere è anche tragico”. Paolo Villaggio definì così un giorno la comicità. Aggiungendo che “nei clown fa ridere l’elemento disumano e paradossale dell’uomo: pantaloni enormi, scarpe lunghissime e con la punta all’insù, mani guantate di bianco, enormi nasi rossi e trucco del viso esasperato. Voci animalesche, infantili e cattivi nel comportamento. Ce ne sono di due tipi: l’“Augusto” ingenuo, stupido, infantile e vagamente crudele. Il “Bianco” con la faccia di marmo, feroce, cattivo e sempre temuto, spesso suona la tromba che è il simbolo del suo potere. I clown non sono mai delle donne che in quel ruolo non farebbero ridere, ma sarebbero delle figure patetiche”.
Paolo Villaggio, il clown. Non sarà un caso se davanti a lui Fellini pronuncerà la versione artistica dell’Ecce Homo, come Ponzio Pilato davanti ai Giudei mostrando Gesù: “Ecco il mio clown”. Il Maestro di Rimini, alla fine della sua carriera, aveva immaginato di chiudere proprio con Villaggio la serie dei “Block notes di un regista” per la tv, orchestrando quella famosa “chiacchierata senza pudori sul mestiere dell’attore” che invece non vedrà mai la luce, prima più volte rimandata e poi definitivamente allontanata a causa della malattia e poi della morte che scriverà il the end sulla vita terrena di Fellini.
Paolo Villaggio riceve a Imperia il “premio Grock” creato da Sergio Maifredi e forse nessun attore, meglio di lui, ha i titoli per ritirare il riconoscimento che porta il nome del grandissimo clown svizzero innamorato della Liguria (e il premiato è nato a Genova) fino a decidere di concludere lì la sua esistenza, all’interno della villa museo che porta il suo nome e che per la sua fantastica razionalità sarebbe potuta uscire solo dalla creatività di un clown (gli architetti dovrebbero andare a scuola dai clown e in giro si vedrebbero meno brutture).
Villaggio e Fellini. Ecco cosa raccontò il secondo a Maurizio Porro nel marzo del 1992 a proposito dello special sull’attore che poi naufragò. Perché proprio Villaggio, quando “in lizza, in questa passerella di amici”, c’erano anche Mastroianni, Giulietta Masina, Benigni, Gassman e altri? “E semplice”, rispose Fellini al giornalista del Corriere della Sera, “Villaggio è la mia maschera ideale, l’ultima trasformazione del clown, un magnifico compagno di viaggio: contiene ogni tipologia e io penso di fare con lui, in prima persona, una intervista indiscreta e spudorata, una chiacchierata di vita e lavoro”. Fellini rivelò in quell’occasione anche un’altra novità: “Villaggio sarà anche protagonista del mio famoso e sempre rimandato “Viaggio di Mastorna”, cui ho aggiunto ora un “detto Fernet”, per ingrandire l’ immagine clownesca di questo violoncellista. Ma attenzione, non giro il film, bensì lo trasferisco a fumetti in un volume che uscirà per le edizioni del Grifo, sotto l’ egida dell’esperto Vincenzo Mollica”. Cosa che poi si verificò.
Il Bianco e l’Augusto sono anche i protagonisti dell’ultimo film che Fellini regala al pubblico, La voce della luna, e per il quale sceglie Paolo Villaggio e Roberto Benigni. Uno buffone, l’atro presuntuoso e saccente, severo fino ad apparire ridicolo.
“Nei “Menecmi” di Plauto, nei “Gemelli veneziani” di Goldoni, nella “Pulce all’orecchio” di Feydeau, in epoche diverse è la stessa meccanica che fa ridere. Due personaggi uguali, uno tonto, stupido e ignorante e l’altro intelligente, colto e raffinato sono coinvolti nella stessa vicenda. Fa ridere il tonto che sostituisce l’autorevole e l’autorevole che viene trattato da stupido: funziona il continuo scambio di due persone eguali nella stessa situazione”, è Villaggio che così descrive il Bianco e l’Augusto. “Un uomo autorevole: un Re, un Presidente, un Generale, che cade scendendo una scala fa ridere. Ha fatto ridere tutta l’Italia la caduta dalla sedia del Presidente Gronchi alla sfilata del 2 giugno. Tognazzi e Vianello nella trasmissione “Un due e tre” di Scarnicci e Tarabusi ne han fatto la parodia e la trasmissione è stata sospesa”. Sono le regola d’oro di “tutte le situazioni comiche che negli ultimi mille anni sono rimaste invariate. All’inizio un po’ rozze e poi con il passare degli anni più raffinate, meno esplicite e nello humour anglosassone appena accennate”, è sempre il pensiero di Villaggio.
“Se nei clown l’elemento disumano fa ridere e alle volte intimorisce i bambini, negli animali un qualunque elemento umano fa sorridere. Un cane, una scimmia, un’oca che scende una scala fanno tenerezza. Però lo stesso cane con un paio di occhiali, la scimmia vestita da bambina e l’oca con un cappellino sono molto divertenti. Il comico è furbo, ma molto ignorante. Spesso usa come arma i dialetti. Sempre povero e avido. Sempre vigliacco. Trema in ogni situazione di pericolo, ma è sempre più intelligente dello stupido eroe che non ha paura di morire. È per necessità servile di fronte ai potenti: Fantozzi ne è il principale rappresentante. È sempre sfortunato e esorcizza la paura di chi non è competitivo, di essere isolati in quella malattia. I potenti che cadono scendendo le scale rallegrano tutti i sudditi: “Ecco può capitare anche a loro!” Nel repertorio di ogni comico c’è l’ubriacatura: non c’è comico che nella sua carriera non abbia causato i disagi di un ubriaco in un salotto perbene. Le donne ubriache sono sempre patetiche”.
Eccoci arrivati. Fantozzi è la gommosa maschera (con tutto il contorno di personaggi: dalla moglie Pina alla mostruosa figlia Mariangela, dal “geometra Filini” alla collega Silvani, fino al “megadirettore galattico”) che getta il clown Paolo Villaggio nelle viscere di un’Italia che ormai si è lasciata alle spalle il miracolo economico. E’ un’invenzione assolutamente nuova che squarcia il già noto che alberga nella comicità italiana e non solo. C’è chi in Fantozzi ci vede influenze letterarie (il travet francese oppure Gogol e Cechov) e cinematografiche (il delirio sadomaso dei cartono, la scuola di Tex Avery, le invenzioni surreali di Frank Tashlin). Dario Fo è invece convinto che “la grande forza di Paolo Villaggio è il dono della sintesi comica”, ma “basta stare attenti e vi si trova dentro la commedia dell’arte, Moliére, la satira americana di certo periodo cinematografico”.
A Quelli della domenica, nel 1968, irrompe sulla scena il “Fantocci” nazionale (ma anche il dottor Kranz e Fracchia), un personaggio che con i simboli del benessere economico proprio non ha familiarizzato. Al cinema arriva nel 1975, diretto da Luciano Salce, e sbanca: 6 miliardi d’incassi l’opera prima e circa otto mesi in prima visione a Roma. E’ l’apocalittico impiegato senza talento, soccombente, che “non si batte né per vincere né per perdere ma per sopravvivere”. La gente ci si riflette, s’intenerisce, e ride. E’ un’altra regola d’oro che Paolo Villaggio spiega con il comportamento infantile del comico: “Stanlio e Olio, Jerry Lewis e Totò nelle movenze hanno la goffaggine di bambini molto piccoli. Hanno l’età mentale di bambini dai 7 ai 9 anni. Stanlio, il più infantile, quando fa qualche marachella piange, la vittima è sempre quello grasso che lo prende a schiaffi. Data la loro immaturità non hanno diritto alla sessualità: niente mogli né fidanzate. Li spaventa sempre la vista di un poliziotto: perché si sentono sempre in colpa. Jerry Lewis è un bambino cretino con una dipendenza psicologica dall’insulso Dean Martin, al quale lo lega forse un rapporto omosessuale. Totò in tutta la sua lunga serie di film ha sempre desiderato le donne con le grandi tette dei suoi tempi, ma infantilmente non ha mai cercato di toccarle. Perché i comici da sempre fanno ridere? Perché da sempre a livello del tutto inconscio fanno ricordare violentemente allo spettatore l’infanzia, il periodo più allegro, più puro e spensierato della loro vita. Va da sé che una platea che si aspetta di ridere è fondamentale perché la comicità funzioni. Insomma l’“Autorità” del comico è alle volte indispensabile. I comici sconosciuti fanno più fatica di quelli che hanno di fronte una platea in trepida attesa: adesso vedrò qualcosa che mi farà ridere”.
Nel Secondo tragico Fantozzi si materializza la pista di segatura, quella vera, ed è lo chapiteau del circo Americano: è quando si finge malato e decide di mettersi sotto mutua. Maldestro e ipocrita come sempre, s’infila a letto e appena sente bussare alla porta pensa al superiore o all’ispettore aziendale in visita fiscale. E’ solo il vicino di casa, che sta partendo con la famiglia per le vacanze e regala (bontà sua) a Fantozzi tre biglietti omaggio per il circo Americano. Ovviamente non si fa sfuggire l’occasione ma pensa bene di travestirsi. E ovviamente sarà tutto inutile. Al circo ci trova Corrado Maria Lobbiam, il superiore, che ci mette qualche secondo a riconoscere sotto il goffo travestimento il servile ragioniere. Che fare? Come al solito disposto a tutto pur di non farsi cogliere in fallo e tradire la fiducia dei superiori, si improvvisa artista del circo e per lui si apre la bocca del cannone che spara l’improbabile uomo proiettile in provincia di Agrigento con seguito di visioni mistiche.
Il circo lo frequenta Paolo Villaggio. Nel 2002 va al Moira Orfei, quando si trova a Napoli, e ci trascorre due settimane per sostenere la campagna Telethon e comparire in video a Domenica In. Qualche anno prima, nel 1997, partecipa al Gran Premio del Circo a Viareggio (Rete 4), come ricorda Alessandro Serena, uno degli autori del programma, e nei panni di Fantozzi non si fa problemi a farsi rincorrere da un rinoceronte, raccontando anche aneddoti divertenti su quell’esperienza.
Nel 2006 accetta l’invito di una psicologa, la professoressa Alessandra Farneti, e varca la porta dell’Ateneo bolognese per parlare dell’arte del clown davanti ad una platea di futuri medici che, sulla scia di Patch Adams, vogliono imparare un approccio sorridente alla malattia. Intervistato da Simona Caporilli sul Tempo, un po’ fantozzianamente Paolo Villaggio ha reagito così davanti alla notizia del premio (in passato attribuito a Brachetti, Aurelia Thierrée e Leo Bassi, David Larible, Gianni “Fumagalli” Huesca e Andrey Jiigalov, Paolo Rossi, Antonio Albanese): «Posso immaginare i motivi. È un premio creato sotto il nome di un grandissimo clown. Il clown Grock. Forse il clown più famoso al mondo. E ogni anno loro danno un premio a un comico». Un grande comico ha anche questo pregio, la modestia.
Claudio Monti
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