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Leggo volentieri ogni domenica – come ho già avuto occasione di dire – l’inserto culturale allegato alle pagine del quotidiano Sole 24 Ore, ma ogni tanto ci trovo dentro qualcosa che leggo meno volentieri. Ecco qua una recensione di Roberto Carnero dedicata al volume Non ci sono pesci rossi nelle pozzanghere di Marco Truzzi (Instar Libri, Torino). Inizia così: “Il protagonista del romanzo d’esordio di Marco Truzzi si chiama Damian ed è un piccolo ‘zingaro’. Termine politicamente scorretto – potrà obiettare qualcuno – ma è lo stesso io-narrante a mettere le mani avanti: “Noi non andremo tanto per il sottile perchè, a volte, anche fra di noi ci chiamiamo così”. Scusate se trasecolo, ma ancora mi capita qualche volta. Ma chi l’ha deciso che la parola “zingaro” è politicamente scorretta? Nella mia biblioteca personale figurano numerosi libri dedicati agli zingari in cui appunto di zingari si parla e non di nomi travestiti in altro modo. Sfoglio Il Piccolo Rizzoli Larousse, di cui mi servo da decenni senza aver mai ricevuto lettere di diffida da D’Alema o Asor Rosa, in cui si dice a pag. 2038: “Zingari, popolazione nomade di origine asiatica, ora dispersa in vari paesi europei”. Casommai mi è accaduto di incontrare zingari che si sono presentati a me dicendomi “Siamo Sinti”, espressione che indica una origine più precisa rispetto a quella, generica, espressa dall’altro vocabolo. E nessuno, per questo, ha sentito il bisogno di chiamare la polizia letteraria di Repubblica.
Certo, che si tratti di una popolazione nomade condannata dalla sua storia antica a travagli oggi giudicabili in diversi modo è un dato di fatto. Ricordo l’amico Giuseppe Origoni, innamorato dei viaggianti nonchè presidente dell’Opera Nomade, che proprio in quanto tale mi parlava dei problemi di questa gente poco adatta a inserirsi negli schemi del nostro vivere quotidiano in termini molto preoccupati e purtroppo validi anche nei tempi che stiamo vivendo. Ma chiamare le cose con il loro nome, vivaddio, soprattutto quando hanno un nome in uso da secoli, non è, non può essere marchiato con l’infamia del politicamente scorretto.
In altra pagina, sempre su questo inserto, si legge la recensione di Marinella Guatterini dedicata allo spettacolo di danza “Bislacchi – Omaggio a Fellini”. Io sono fra quelli i quali sostegono che, malgrado gli equivoci cui ha dato vita, l’opera felliniana nasconda un riferimento positivo all’arte della strada. Però qui leggo: “Nel circo, il coreografo Casadei ha trasferito le stramberie del nomadismo del suo gruppo”. Stramberie del nomadismo in spettacoli che, nella danza come al circo, sono regolati come meccanismi a orologeria? Mah, passiamo ad altro.
Ruggero Leonardi