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L’autrice di Corrado cammina, il quarto racconto che pubblichiamo fra i diciotto pervenuti al concorso Letteralmente Circo, si chiama Elena Lo Muzio.
E’ laureata in scienze dello spettacolo e scrive da molti anni. Ha collaborato con giornali locali e associazioni letterarie. Nel 2011 è arrivata in semifinale al concorso “Il mio esordio”, indetto da Feltrinelli editore, con il suo primo romanzo Non chiudo mai la porta a chiave. “Ora sono alla ricerca di un editore che mi faccia diventare il prossimo “caso editoriale” italiano. Nel frattempo racconto in chiave ironica il mondo che mi circonda sul blog “passata di moda”.
I precedenti racconti pubblicati sono Innocenti squilibrismi di Chiara Giudici, L’ultima prova di Erica Balduzzi e Dana di Laura Zuzzi.

Corrado cammina

Corrado cammina verso casa. Il cielo è ancora chiaro, ma nell’aria c’è già il tramonto e lì, dietro l’angolo, la sera. Ogni giorno alla stessa ora Corrado compie il medesimo percorso in un quartiere che conosce come le sue tasche: è nato qui e qui, certamente, morirà.

“Come è successo a Ennio” pensa “è già passato un mese, ma sembra ieri, dovrò andare a trovare Clelia” e come se gli avesse letto nel pensiero eccola lì, Clelia, seduta appena fuori dalla porta di ingresso, con una rivista posata sulle ginocchia, il viso rivolto verso il cielo, a scrutare la forma delle nuvole.

“Clelia, ciao”

“Corrado, caro. Che bella serata, vero?”

“Sì, bellissima. Come stai?”

“Si tira avanti, lo sai meglio di me. Ogni giorno è una conquista. Per fortuna che ho la famiglia vicino, i nipotini a cui pensare. Hai visto che bravo il mio Marco? Sta facendosi le ossa, mi ricorda il mio Ennio. Stesso carattere”

“È vero. Coraggioso come lui alla sua età. Quante ne abbiamo fatte”

Stanno in silenzio e guardano una nuvola, poi Corrado le stringe piano un braccio e la saluta, promettendole di tornare presto a trovarla “con un po’ più di tempo” e continua la sua passeggiata. Sente i rumori del quartiere, le voci degli abitanti, un cane abbaia e un altro risponde, delle ruote sulla ghiaia, il suono di un trombone.

Corrado si ferma sotto la finestra e socchiude gli occhi: “Andrea è diventato proprio bravo” si ricorda delle battaglie di qualche anno prima, quando il padre del ragazzo sognava per il figlio un’altra carriera per la paura di vederlo senza lavoro.

Invece Andrea ce l’ha fatta, con il suo gruppo ha un posto sicuro, ha sposato una ragazza russa che adesso aspetta un bambino. “Chissà, magari vedrò crescere anche lui, come ho visto crescere suo padre”. Corrado è nostalgico questa sera, forse per l’incontro con Clelia o per il ricordo di Ennio che amava questa stagione e spesso passeggiava con lui, e non può fare a meno di pensare al tempo che passa, al fatto di essere una sorta di memoria storica nel quartiere, uno dei “grandi vecchi” in questa piccola comunità. Eppure non è
così vecchio, anzi.

Una voce di donna interrompe i suoi pensieri; si sta lamentando a gran voce con qualcuno: “mi si è strappato il vestito! Come faccio questa sera? Cosa mi metto? Non ho niente altro da mettermi”

“Chiedi a Margherita, magari ti presta uno dei suoi…”

“No, cavolo, no! Devo mettermi questo, è il mio vestito, mi sento a mio agio e…poi Margherita è più grossa di me, non voglio qualcosa che mi balla addosso…”

“Dai, Maya, fai vedere. Riesco a sistemartelo, ma domani dobbiamo cercare qualcos’altro”

Corrado sorride. Conosceva una ragazza magra come Maya, con la stessa fissazione per i vestiti. Sospiro, nostalgia – di nuovo – e riprende a camminare; una bicicletta lo affianca, è Marco, il nipote di Clelia, si salutano con un cenno veloce della mano e il ragazzo gli urla: “ci vediamo più tardi!” prima di sparire dietro l’angolo. Ora va come una scheggia mentre da bambino aveva paura a pedalare senza rotelle, con nonno Ennio che gli reggeva il sellino e cercava di convincerlo che no, non lo avrebbe lasciato, ma Marco non si fidava e continuava ad appoggiare i piedi per terra per il terrore di cadere. C’erano volute settimane, ma un pomeriggio, d’improvviso, Ennio era riuscito a lasciare la presa e il bambino era partito: da allora le due ruote sono il suo mezzo di trasporto preferito e nemmeno le frequenti cadute l’hanno fermato. Corrado intanto è quasi arrivato a casa, saluta da lontano Margherita e Rosa le sue vicine che stanno facendo stretching dopo la loro corsa quotidiana. “Siamo tutti piuttosto abitudinari, qui” pensa, e sorride. Apre la porta e si guarda intorno: le fotografie sul tavolo, il giornale sul divano, la gabbietta con il canarino, le cartoline nella cornice dello specchio, il gatto che si lecca le zampe. Chi l’ha conosciuto solo sul lavoro si stupirebbe della semplicità un po’ antiquata che lo circonda, molti lo immaginano immerso in colori eccessivi, tra oggetti eccentrici e nell’aria musiche vivaci suonate a tutto volume.

Corrado sa bene ciò che la gente pensa di lui e glielo lascia credere, d’altronde il mistero è parte fondamentale del suo lavoro, non potrebbe essere altrimenti. Sorride e comincia a prepararsi la cena, una cosa leggera e veloce, non vuole appesantirsi la sera, non ha più lo stomaco di una volta: “sto davvero invecchiando, continuo a pensare al passato”.

Qualcuno bussa e lo costringe a smettere di pensare: non è mai passato nessuno a quest’ora, alle sette di sera ogni abitante è già a casa da un pezzo, se non lo è vuol dire che è successo qualcosa di grave. Il cuore gli batte troppo forte, il ricordo di Ennio è ancora ben chiaro nella sua testa: il rumore delle nocche sulla porta, il suono della sirena dell’ambulanza, le voci concitate.

Apre.

“Livio”

“Corrado, scusa l’orario, volevo solo avvisarti che la Mimì sta bene, l’ha vista il veterinario ed è perfettamente guarita. Dalla prossima settimana puoi passare un po’ di tempo con lei, sai, si potrebbe pensare a combinare…ehi ciao micio” il gatto di Corrado fa le fusa. Reclama la sua cena “scusa ancora, eh. Scappo che è tardi anche per me. Domani parliamo per bene”.

Livio se ne va di corsa e Corrado rientra altrettanto velocemente. Versa croccantini nella ciotola e gira il cucchiaio nel pentolino del riso, ne assaggia un chicco: quasi pronto. Con un occhio all’orologio va in camera e tira fuori dall’armadio il vestito per la serata e lo posa sul letto, poi torna in cucina e scola la sua cena. Porta il piatto in camera per potersi cambiare e nel frattempo mangiare qualcosa, stasera ha perso tempo, ma deve fare tutto per bene, come sempre, non può permettersi di presentarsi sciatto solo perché si è lasciato trasportare dai ricordi per un paio d’ore. Ha degli obblighi da rispettare, non solo lavorativi, soprattutto con se stesso: mai, mai in tutti questi anni si è presentato in ritardo o conciato in qualche modo. Molti suoi colleghi hanno questo vizio: “basta un po’ di trucco e un vestito vistoso, cosa vuoi che sia. È per far ridere”. No, mai così.

Decide che mangerà al suo rientro. L’abito è pronto, studiato nei dettagli, le scarpe se le è fatte fare su misura, perché come le voleva lui e della sua taglia erano impossibili da trovare. Gli sono costate un po’ di più, ma sono una soddisfazione da indossare. Il trucco è il suo pezzo forte, oramai sa misurare con precisione i colori e maneggiare con sicurezza matite e pennelli.

Il distinto signore che passeggia nel tardo pomeriggio, la sera si trasforma, cambia nome e aspetto. Accende una musica fresca e allegra, muove qualche passo di danza e si prepara per uscire e andare a lavorare.

E pensare che da giovane si vergognava un po’ a passeggiare nel quartiere dopo la sua trasformazione: si sentiva gli occhi di tutti addosso e avrebbe voluto spiegare il perché della sua “vocazione”, perché non faceva un mestiere eroico o geniale, perché aveva scelto quella maschera per mostrarsi al mondo. Lui era così perché quello era ciò che voleva essere, e aveva lottato a lungo contro la sua famiglia – come capiva Andrea il musicista quando da ragazzino andava a piangere sulla sua spalla – che aveva una lunga tradizione da mantenere, pur di fare quel mestiere, pur di essere ciò che si sentiva di essere. Aveva lottato e aveva vinto. E anche i suoi genitori erano stati orgogliosi di lui, dopotutto, anche se era il primo della famiglia a fare una scelta simile.

A trucco completato Corrado si guarda nello specchio e sa che non è più Corrado, ma è qualcuno di più esotico e divertente, qualcuno che deve essere al lavoro tra pochissimo tempo. Esce di corsa, con le scarpe in mano, non può essere veloce se le indossa.

Eccolo arrivato. C’è la solita tensione, come ogni sera. Mentre infila le scarpe Corrado sente la musica che da inizio allo spettacolo e gli applausi del pubblico: il suono più bello del mondo. Sorride e annusa l’aria perché il profumo è inconfondibile e niente più degli odori ti trasporta dentro, fino in fondo, un luogo, un ricordo.

Ecco. La sua musica, la sigla con cui ogni sera attraversa il sipario rosso e va in scena. Entra e già non cammina, ma danza – ogni passo studiato, ogni movimento preciso – mentre tende le mani verso il pubblico, mentre con la punta dell’indice cerca due chiamare, chi far diventare parte dello spettacolo.

C’è imbarazzo. Gli uomini presenti sanno che sono tra le vittime preferite in questi casi. Più goffi e buffi delle donne, più spiritosi. Corrado conosce bene il suo mestiere: porge la mano a un signore brizzolato, ha all’incirca la sua età. Ha l’aspetto che Corrado ha ogni giorno.

Lo trascina in mezzo alla scena, gli applausi aumentano e comincia davvero il suo numero.

Mentre lavora prevede esattamente le reazioni di chi ha di fronte, le anticipa e crea l’effetto desiderato; mentre lavora ricorda con precisione ciò che negli anni ha imparato, anche tutto quello che gli sembrava inutile: le ore a ballare, a studiare musica per non perdere mai il ritmo, nemmeno da fermo. Le lingue straniere apprese per poter scambiare due parole con chiunque.

Il pubblico si diverte, batte le mani. Corrado si piega in avanti per ringraziare e invita l’uomo accanto a lui a fare lo stesso, solo che il suo movimento viene accompagnato da una nota lunga e bassa, simile a una pernacchia: è Andrea che dall’orchestra da fiato al trombone.

Tra le risate l’uomo esce dalla pista e Corrado si ritrova solo al centro, sta ringraziando mentre Marco arriva come un fulmine da dietro le quinte, gli gira intorno con la bicicletta un paio di volte e lo fa scappare veloce, nelle sue scarpe giganti da pagliaccio.

E per tutto lo spettacolo Corrado intrattiene il pubblico con le sue uscite tra un numero e l’altro, oppure sono gli altri artisti a interrompere lui che a ogni entrata recupera il filo di ciò che sta facendo, recupera il contatto con la gente, così in un lampo. Fino alla parata finale.

Il Circo Salinas vi saluta e vi ringrazia. Si sono esibiti per voi…

Maya, la nostra splendida contorsionista!

“il costume l’ha rammendato, bene.” Pensa Corrado.

Mary e Rose le gemelle trapeziste

“Sempre uguali, sempre belle, indistinguibili l’una dall’altra.”

Il matto su due ruote! Marco Salinas!

“Finirà con il farsi male, ma è davvero bravo.”

Il maestro Andy Williams e la sua orchestra!

“Ora rifà la pernacchia con il trombone…eccola.”

Livio Mascagni e l’elefantessa Mimì

“Sì, sarebbe bello ricominciare a esibirmi con Mimì, era divertente quel numero.”

E il nostro Clown…Roger Martini!!!

“Ecco, il mio momento, stasera me lo voglio gustare tutto, tendo le braccia verso la gente, le allargo verso i miei compagni, la mia famiglia.”

Torna indietro, tutti escono e tornano alle loro case.

Corrado entra nella sua, accarezza il gatto e si strucca davanti allo specchio del bagno. Domani ancora. E dopo domani anche. Certo, sì, cambierà città, pubblico, forse anche nazione, ma la sua casa, la sua gente, il suo paese è questo. È quella strada tra i caravan che lui percorre nel tardo pomeriggio, è nei panni stesi da Clelia, nei solchi di bicicletta di Marco, nella musica di Andrea e nei barriti di Mimì, e nei body di Maya, nel sincronismo delle gemelle, ed è in Livio e in tutti gli altri. È nella pista, sulla quale suo padre volava appeso al trapezio, dove ruggiscono le belve, dove si ingoiano spade. Dove un signore distinto con una passione grande – sudata, sognata, costruita giorno per giorno – riesce con piccoli gesti a dare un sorriso in più alle persone, a farle tornare a casa con il cuore un po’ più leggero.

C’è chi per una vita cerca il suo posto nel mondo, chi corre alla ricerca delle persone giuste, della casa giusta, della città giusta, non lo trova e corre. Corre. Corrado, semplicemente, cammina.