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Comicodeon, il clown è donna a Vienna

di Massimo Locuratolo

Jango Edwards

Jango Edwards

VIENNA – A fine agosto si è svolta al Kulisse, un dinner-theatre di Vienna attivo dagli anni Ottanta, la prima edizione di Comicodeon.
Stando alle parole di Andreas Swatosh, membro dello staff organizzativo, la scena clownesca in Austria non è propriamente dinamica anche se il Kulisse, nel corso degli anni, ha proposto personaggi come Gardi Hutter, Massimo Rocchi, Paolo Nani e Leo Bassi; ma, secondo la direttrice del locale, si è trattato di appuntamenti sporadici, non esistendo una vera e propria strategia per la diffusione della clownerie moderna in Austria. Questo il motivo per cui Comicodeon ha rappresentato una sorta di esperimento pionieristico, importante per tastare il polso del pubblico.
Il suo dato caratterizzante è stato lo spazio riservato alle clownesse. Accanto a Jango Edwards e Gromic si sono infatti esibite Laura Herts, Tanja Simma (Anna De Lirium) e Cristi Garbo.
Il Maestro statunitense ha presentato un nuovo spettacolo centrato all’inizio sul tema del Clown che invecchia, con una commossa interpretazione di Ridi pagliaccio eseguita restando seduto in poltrona avvolto da una coperta e circondato da specchi che ne rimandavano all’infinito l’immagine imbolsita e canuta, mentre rigirava tra le mani una sua fotografia da giovane. Poi Jango Edwards ha proseguito con la dimostrazione delle sue Comic Formulas, alternate a esilaranti pantomime storiche (“lo chef”, “il prestigiatore che non fa nulla”, “Joe Cocker”), a filmati dei suoi numeri più celebri e a canzoni interpretate dal vivo.
La sua leggendaria verve comica non è apparsa appannata dall’età, anche se la performance adesso vira più sul mimo e sul controllo dei tempi comici durante le presentazioni e nei sottotesti visivi adottati quando canta, che non sulle acrobatiche risoluzioni degli effetti, sui ritmi frenetici e sulle oltraggiose provocazioni che sono stati il suo marchio di fabbrica per decenni. L’esito finale resta comunque travolgente e, come sempre, il pubblico ha riso molto.
Laura Herts

Laura Herts

Gromic è un visual comedian belga che vive a Barcellona, città che ha assunto nel corso degli ultimi decenni un ruolo di riferimento primario per il Nouveau Clown. Ha eseguito una serie di tricks tradizionali, ri-lavorati in maniera personale come se ne avesse voluto esplorare in profondità l’essenza comica, la sequenza dei movimenti espressivi e le microstrutture narrative. La parte iniziale dello spettacolo – semplici giochetti magici con le dita delle mani, guantate di bianco, eseguiti a ritmo moderato, utilizzando gesti definiti e nettamente ritagliati nello spazio – ricordava l’incipit in sordina di Garrick dei Tricicle, basato su una serie di piccoli scherzi buffi tra i tre attori – eseguiti su ritmi e controritmi calcolatissimi – provenienti dalle radici storiche della comicità visiva: dagli Zanni, quindi (cui si può far risalire l’entrée dei saluti tra due persone che si incontrano per strada, ripreso per un numero strepitoso dai Tricicle proprio in Garrick) e probabilmente anche ai mimi greci e romani. Si tratta di scherzi che riescono a divertire sempre per l’ingenua e sorprendente effettualità se eseguiti col timing giusto, perfetti per disporre il pubblico a ciò che vedrà dopo preparandolo a più complesse elaborazioni scenico-visive.
Il che, puntualmente, è avvenuto. In sequenza Gromic ha presentato infatti una originale rivisitazione della routine di George Carl con asta del microfono/giacca/bretelle/cappello che si incastrano tra loro, cui ha fatto seguito quella dell’attaccapanni dove sta appeso un cappotto che si anima (Tina Lenert, Slava Polunin, Bustric … ), e ha poi coinvolto il pubblico sul palco trasformando uno spettatore in un pupazzo con una cartella di cuoio al posto della testa, o riuscendo a combinare una semplice magia con quattro persone sdraiate con la testa sulle gambe di un’altra che restavano autosospese quando ha tolto loro le sedie da sotto.

Il fil rouge che ha accomunato gli spettacoli delle clownesse è stato invece la parodia degli stereotipi, realizzata coi mezzi della formidabile modalità che contraddistingue la comicità femminile: l’autoironia.
Laura Herts ha proposto il suo personaggio più noto, la zitella affamata di uomini che si avvale di un manuale per apprendere le tecniche della seduzione. Grintosa, coraggiosissima nel condurre tre quarti di spettacolo con un travestimento che ne celava il reale bell’aspetto, molto abile nel tenere costantemente il personaggio entro le corde di una sgraziata goffaggine, e dotata di un estro mimico di matrice lecoquiana che le ha consentito di risolvere situazioni complicate avvalendosi solamente del movimento espressivo, a un certo punto si è tolta abiti e parrucca e ispirandosi molto, in questo, a Jango Edwards ha chiuso lo spettacolo con un emozionante monologo sulla necessità di amare e sul coraggio di essere se stessi e di appartenersi così per come si è.

Tanja Simma

Tanja Simma

Lo stereotipo su cui Tanja Simma, diretta da Jango Edwards, ha creato Anna De Lirium era invece quello dell’aspirante cantante-ballerina che affronta i provini. Anche qui, come per Laura Herts, lo spettacolo aveva una struttura ascensionale fortemente marcata. Il primo numero presentava Anna De Lirium chiamata a sostituire una corista per la registrazione di Chanson d’amour, un successo internazionale del 1958.
All’ingresso nello studio lei scopre il microfono collegato a un aggeggio elettronico che consente di modificare i toni vocali e di sovrapporre istantaneamente varie parti cantate. Divertita come una bambina, Tanja Simma ha creato un brano ritmato giocando coi pulsanti. Pescata in flagrante dal produttore, di cui si udiva solo la voce fuori campo, veniva invitata a lasciar perdere i giochetti e a svolgere il compito per cui si trovava lì.
Il meccanismo su cui si basa l’entrée Chanson d’amour prende avvio dalla frustrazione della corista, costretta ad aspettare i brevi istanti in cui deve canticchiare un minuscolo fraseggio di collegamento tra un accordo e l’altro, la quale, invece, vorrebbe più spazio e fa di tutto per conquistarselo – continuamente ripresa dal produttore. Tanja Simma ha condotto il numero con una serie di trovate mimico-espressive esilarantissime, trasformando il mid-tempo della base musicale in una cornice che a stento riusciva a contenere le sue frenetiche improvvisazioni.
Consultando le offerte di lavoro su un giornale trova poi un ingaggio per sostituire Sigfried&Roy, i famosissimi illusionisti di Las Vegas. Lo spunto le ha consentito di eseguire una strampalata parodia del prestigiatore utilizzando un pollo di gomma gialla – oggetto già dotato in sé di un marcato potenziale ridicolo.
Sempre per farsi spazio nel business artistico ha poi presentato a un invisibile direttore un numero musicale in cui ha suonato dal vivo una minuscola chitarra elettrica ricavandone gli accordi più famosi della storia del rock, cui hanno fatto seguito un brano alla sega armonica, un bel numero di danza moderna rovinato dal cattivo montaggio della base musicale – ispirata sostanzialmente alle canzoni di Michael Jackson – e infine lo straziante lamento d’amore scatenato dalla lettura di una lettera d’addio, giocato sull’interpretazione in playback della celeberrima suite vocale di Dark side of the moon dei Pink Floyd, tenendo stretta al cuore la fotografia dell’amato bene perduto, che alla fine mostra al pubblico: ed è il pollo di gomma gialla visto poco prima.

Cristi Garbo

Cristi Garbo

Lo stereotipo su cui era incentrato lo spettacolo di Cristi Garbo, anche lei diretta da Jango Edwards, è quello della diva di Music-Hall negli anni Quaranta. Cristi, come Tanja Simma, ha studiato le tecniche del canto e del ballo: la loro formazione proviene dalla scuola del musical. “Blue”, il suo personaggio, entra in scena trafelata scusandosi per il ritardo. Emozionantissima, si toglie l’impermeabile e giocando sulle forme abbondanti del suo corpo fasciato di lustrini, piume di struzzo e seta – evidenziando così una dose di autoironia che il pubblico ha continuamente applaudito – ha cantato Let me entertain you trasformando in un istante il Kulisse in un teatro di Broadway. Poi, in sequenza, ha materializzato – avvalendosi di arredi, oggetti e accessori – le immagini e le atmosfere con cui Esther Williams, Isa Miranda e Marlene Dietrich facevano sognare il mondo settant’anni fa, avvalendosi di una vocalità da soprano e di una intonazione assolutamente perfetta, danzando ininterrottamente e tenendo senza cedimenti il personaggio della Diva che brama l’Amore dei suoi fan. I numeri musicali erano inframmezzati da sketch comici basati sui piaceri del riposo in camerino: il ricevimento dei mazzi di fiori, la lettura delle infuocate missive fattele pervenire dai pretendenti.
Nella seconda parte Cristi Garbo ha completamente cambiato registro interpretativo portando in scena Nosferata, personaggio di un precedente spettacolo. Per sviluppare la parodia della donna vampiro, con tanto di canini aguzzi e attillatissimo abito nero – anche qui siamo nei territori dello spettacolo americano di qualche decennio fa, in quanto il riferimento di Nosferata è Vampira (Maila Nurmi), sulfureo volto televisivo che introduceva i film horror in bianco e nero programmati di notte agli inizi degli anni Cinquanta ed apparsa nel film del 1959 Plan 9 from outer space – ha invitato sul palco due spettatori, usando toni inquietanti e sguardi minacciosi, per fare un esperimento di mentalismo: la previsione impossibile. Il numero, giocato sui sottotesti improvvisati con cui consegnava ai malcapitati partner le istruzioni sul da farsi, ha scatenato risate e applausi a ripetizione. Per sdrammatizzare le gotiche atmosfere evocate da Nosferata, Cristi Garbo ha infine eseguito Unforgottable accompagnata da Jango Edwards al pianoforte travestito da crooner.
Lo spettacolo “Blue” era al suo debutto assoluto. A giudicare dal consenso ricevuto a Vienna, è destinato a percorrere una lunghissima e gratificante carriera.

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