San Leonardo – Un naso rosso di certo non basta. Ci vuole attitudine al sorriso, l’animo «a pois», l’indole giocherellona che la maggior parte degli adulti perde per strada. Ci vuole, poi, anche fortuna. E Amleto Cagna, quella, l’ha avuta. Clown giramondo nel circo degli Orfei per quasi quarant’anni, parmigiano autentico che quasi quasi preferisce definirsi «paiàs», questo 87enne che salutò i tendoni una trentina d’anni fa per poi concludere la sua carriera dietro il bancone di un bar, racconta i tempi andati con gli occhi che sembrano ancora illuminati dalle luci della ribalta. «Io sono stato un privilegiato, ho reso la mia passione un mestiere, e l’ho amato sempre» ricorda. Aveva cominciato facendo ridere gli amici, questo arzillo signore col destino nel nome: «A far lo sciocchino» dice lui. Andava a vedere l’avanspettacolo, e poi il giorno seguente lo raccontava per filo e per segno a quei compagni che non erano potuti andare con lui: era un intrattenitore: «Poi iniziai con i concorsi d’arte varia, finché una sera, ero ancora un ragazzino, andai al circo e fui per caso chiamato in pista a fare uno spettacolino: imitai Totò, Macario, Stanlio e Ollio». Da lì si unì al circo dei fratelli Rossetti: «Giravo qui nei dintorni di Parma, finché le distanze me lo consentivano – spiega sfogliando vecchie riviste e fotografie sbiadite -; allora mi muovevo con il Mosquito». Poi l’incontro con gli Orfei, e, da quel momento, prese il via la sua vera carriera da clown: «Girai tutta l’Italia, e l’estero, facevo la vita da nomade, ed era la vita più bella del mondo – continua -. A 52 anni smisi per stare al fianco di mia moglie, ma, se avessi saputo che a 87 anni sarei stato ancora così in forma, be’, avrei di certo ripreso». L’esibizione più emozionante se la ricorda ancora: «Quando a Roma, tra il pubblico, c’era Orson Welles – rievoca –, ma anche quando ci esibimmo per Corona, l’allora ministro dei Trasporti, il quale si fece coinvolgere in una divertente scenetta sulla macchina dei clown, un vero catorcio. Fu davvero divertente». Se ad Amleto Cagna chiedi che cos’è lo spettacolo, e come si fa a far ridere anche quando magari si ha voglia di piangere, lui te lo spiega alla perfezione. «Non scorderò mai quella volta che la trapezista francese cadde, la portarono in ospedale, da lì a poco sarebbe morta – racconta –. In scaletta dopo di lei c’era l’esibizione del marito. Lo spettacolo doveva andare avanti e lui, pur disperato, andò in scena lo stesso». Quando si dice «The show must go on». Ora che ha salutato il mondo colorato del circo, Amleto non ha però perso lo smalto da intrattenitore: ancora lo fa di tanto in tanto, di pitturarsi la faccia a fin di bene ed esibirsi, come per decenni ha fatto alle feste dell’Avis. È tornato a farlo nella sua terra, il clown, questo parmigiano nato nei borghi antichi del centro e ora residente nel quartiere San Leonardo. Di tutto il resto del mondo, però, pare sentire la mancanza.
L’articolo di Margherita Portelli è tratto da lagazzettadiparma.it