di Antonio Buccioni
Ho cercato di comprendere in questi giorni, in queste ore, le ragioni più profonde di tanta radicale acredine, da parte di troppi, nei confronti dei circhi italiani.
Emblematica, nell’ultimo frangente, l’inattesa e sorprendente esternazione del ministro Alberto Bonisoli, problematica persino da interpretare: uno spot para-elettorale nei confronti di una parte del proprio potenziale elettorato? Un regalo di Natale, a contrario, per i circensi? Un malcelato tentativo di giustificare l’inerzia, peraltro a lui direttamente imputabile solo di qualche mese, nei confronti della facoltà, e non dell’obbligo, di procedere all’esercizio della delega previsto dalla Legge 22/11/2017 n° 175 (“Codice dello Spettacolo”)?
Ho tentato di non limitarmi, per quanto a me possibile, ad una lettura superficiale della situazione: ne è scaturita qualche convinzione e, dal momento che i direttori dei circhi italiani, da me a tempo debito sollecitati, non hanno a tutt’oggi ritenuto di procedere ad un mio avvicendamento al vertice dell’Ente Nazionale Circhi, ne ho prodotto qualche determinazione ad immediata efficacia. Spero, almeno in parte, di non sbagliarmi.
L’Italia è cambiata profondamente, privilegiando la rendita dello sviluppo al valore del progresso. La mia generazione, e quella di molti altri, ha creato socialità per strada, nelle piazze, negli stadi.
Il consumo tracimante e ossessivo di informazione ed intrattenimento all’interno di mura domestiche, moderne caverne, innaturali culle di rifiuto di una socialità, care a determinati ben identificabili poteri forti, ha separato la gente dalla gente nell’ambito di uno spietato, cinico, inesorabile progetto di controllo e di manipolazione dell’altrui pensiero.
In un contesto del genere, antiche benevolenze, simpatie, tolleranze, sono venute meno, ed un mondo, quale quello del circo, non ha fondamentalmente compreso l’esigenza sociale, anche se in parte egoistica, di non creare problemi.
Valga il vero.
E’ possibile un futuro per il circo italiano, che resta, per la sua stessa essenza, lo spettacolo del popolo, fonte inesauribile di creatività artistica, presidio della valenza e della beltà dello spettacolo dal vivo in un’Italia dove, all’alba del 2019, il 90% degli oltre 8000 comuni, rimane incredibilmente privo di un locale o di una sala di spettacolo.
Il presente, e vieppiù il futuro, si concretano poggiando su presupposti o, meglio, fondamenta, ineludibili: legalità, doveri, diritti.
Lo abbiamo riaffermato pochi giorni orsono nel corso dell’audizione davanti alla 7° Commissione cultura del Senato: la Repubblica ha tradito l’impegno morale, ancora prima che giuridico, assunto con la gente del circo e con quella dello spettacolo viaggiante, il 18 marzo 1968 con la Legge n. 337.
L’integralità dei diritti che quel dettato legislativo ci riconosce, deve, oggi come sempre, domani come oggi, essere ostinatamente rivendicata. La disponibilità di una piazza degna di tale sostantivo, la possibilità di pubblicizzarsi e, oltre ogni citazione di profili particolari, l’obiettivo di vivere una esistenza di lavoro civile e dignitosa, deve corroborarci e consolidarci nella lotta. I tempi, tuttavia, non consentono, un attimo oltre, di petere alcunché prescindendo da una rigorosa, meius maniacale, osservanza della legalità e dei doveri che da detta osservanza scaturiscono.
Il passato è sepolto, perché a questo punto perpetuare comportamenti non conformi, dall’occupazione di spazi senza titolo certo, a pubblicità abusiva e selvaggia, a governo altalenante nel rigore assoluto degli animali, alla precarietà generale e particolare in ordine alla gestione di una impresa circense, contempla indisponibilità anche da parte di formazioni politiche storicamente amiche e ben predisposte, e di un’opinione pubblica originariamente benevola.
Da oggi e nella imminente partenza del tesseramento 2019, chiederò ai direttori italiani di condividere in linea di principio e nei fatti sostanziali, detta filosofia gestionale dell’impresa circo.
Sarà meglio per tutti, in caso contrario, prendere strade diverse accontentandoci ciascuno di festeggiare insieme eventi lieti e di condividere uniti, volesse il cielo mai, tristi eventi.
Sono indisponibile a riconsiderare quanto precede nella radicata convinzione che la legalità e la conseguente ottemperanza dei doveri che ne consegue, costituisca esclusivo passaporto di accesso al fine della rivendicazione di sacrosanti diritti.