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Gran Circo Capossela

di Maria Vittoria Vittori

È sicuramente uno dei cantautori più talentosi del nostro tempo, Vinicio Capossela, che nelle sue canzoni e nei suoi concerti live ha saputo accogliere e rifondare con esiti di assoluta originalità le più disparate suggestioni culturali, musicali, spettacolari. Lui si definisce “l’uomo con la faccia deturpata di storie” e ogni volta racconta – all’inizio dello spettacolo Solo show che tra il 2008 e il 2009 ha portato in giro con grande successo per l’Italia – che sono proprio queste sue “attrazioni interiori” a trasformarsi in inni musicali. E s’intitola proprio così, The Story – Faced Man, la raccolta appena uscita in questi giorni per l’etichetta inglese Nonesuch. Uno come lui, così profondamente attratto da quelle atmosfere particolari che si creano in certi microcosmi di vita e di spettacolo, e dagli incroci di storie che ne derivano, era in qualche modo predisposto all’incontro con il mondo circense, sia pure trasposto in forme teatrali. E difatti, già all’inizio degli anni Novanta, Capossela partecipa a quel singolare esperimento che è stato il Circo di Paolo Rossi, ovvero uno spettacolo socialmente corrosivo animato da comici freaks, scrivendo diverse canzoni tra le quali Zampanò, dichiaratamente ispirata al mondo di Fellini. Zampanò è personaggio ai confini tra la strada e il circo, tra la quotidianità emarginata e la sua rifondazione in chiave di spettacolo itinerante, e perciò particolarmente caro a Capossela, tant’è vero che continuerà a cercarlo, nel corso dei suoi numerosi viaggi reali e immaginari.

Ma prima di arrivare alla scoperta del suo Zampanò, un passo indietro: nell’album Canzoni a manovella, uscito nel 2000, si trova un pezzo che è un piccolo capolavoro, I pagliacci, accompagnato nell’omonimo video dalle immagini de Il Circo chapliniano, altro suo riferimento di culto. Su una di quelle sue musiche inconfondibili – inquieta miscela di sonorità provenienti dai più disparati strumenti, spezie etniche e un sottile ma persistente aroma di giostra e carillon – si sgrana la ruvida confessione di una di queste creature “con bocche a soffietto e rossetto negli occhi / felici e incapaci di esser normali”.

È un pagliaccio felice e indomabile, uno Zampanò avventuroso, che Vinicio continua a cercare, e alla fine lo trova, in un bar di Hollywood. Un incontro che viene raccontato, insieme a molti altri episodi, da Massimo Padalino nel documentatissimo e partecipe libro che ha dedicato a Capossela Il ballo di San Vinicio (Arcana, pp. 572, € 18,50). Si tratta di Christopher Wonder, di professione mago – con tanto di attestato della Chavez School of Magic – che a bordo del suo camioncino anni Quaranta attraversa le contee più sperdute pubblicizzando al megafono il suo spettacolino di oche e galletti da ipnotizzare. A Capossela piace a tal punto da sceglierlo come compagno di viaggio nell’ultima avventura musicale e spettacolare che sta progettando e che culmina in quel Solo show da cui siamo partiti. Se qualcuno l’avesse perso, può recuperarlo nel dvd in circolazione Solo show alive: nelle vesti di imbonitore c’è proprio lui, Christopher Wonder, all’insegna di quel suo grido di battaglia “Ta-dah!” che vale a sospendere l’incredulità; issato sui trampoli e in sfolgorante giacca rossa, si fa accompagnare da Jessica Love, la lady tatuata che gioca con le torce fiammeggianti. Vicino all’ingresso del teatro – il Verdi di Firenze – rutilanti banners in stile Barnum (rivisitati dall’estro graffiante di Davide Toffolo) promettono una parata di freak mai visti: l’Human Pignata, The Real Twins, Drazilla, Polpo d’Amor, il Gigante e il Mago, Psychic Pig. E si va ad iniziare: sotto una sfavillante insegna da luna park, contornato dalla sua banda da Esercito della Salvezza – strumenti nobili, strumenti umilissimi, un toy-piano e l’imponente organo Mighty Wurlitzer, in voga ai tempi del cinema muto – un Capossela in tenuta da cerimonia ci guida all’interno delle sue affabulazioni, nel cuore di quelle sue attrazioni interiori che producono situazioni e musiche di intensa suggestione. L’intermezzo “burlesque” non è una semplice pausa, quanto piuttosto la soglia di una metamorfosi: mentre il mago e Jessica Love coinvolgono gli spettatori in giochi di prestigio ed esibizioni col fuoco, sul palco vengono montati i banners. Così, quando l’azione spettacolare riprende, quelle attrazioni interiori condivise dal pubblico sono ormai mature per incontrare e fondersi con le surreali attrazioni che si sprigionano dai banners.

Al centro del palco c’è una gabbia scintillante, da circo, in cui prima entra Capossela – nelle sue varie trasformazioni in cow boy, imbonitore, gladiatore – e poi le sue creature di sogno e di incubo: Wonder con il suo chihuahua che diventa un leone, le ballerine con la testa di Medusa, il Gigante più volte invocato, insieme al Mago, come nume tutelare, il Polpo-palombaro con l’organetto, la Sirena abissale, il temibile Minotauro. E, in questa cornice, il numero dell’Human Pignata viene ad assumere la valenza di un rito esorcistico. È il mago che assume il ruolo di “pentolaccia”: appeso a una corda, bendato e a testa in giù, più volte viene colpito fino a sprigionare una pioggia di coriandoli e fuochi d’artificio, mentre il ritmo della musica diventa sempre più battuto, sempre più incalzante fino ad esplodere in un grido “lui è l’oltre vivo, dategli amore, gloria, gioia!” Talmente forte e prolungato risulta l’effetto visivo, sonoro, spettacolare dell’Human Pignata che viene la tentazione di considerarlo come una delle possibili sigle dello stile Capossela. Un antico gioco popolare di strada che diventa numero circense e insieme tema musicale in crescendo e rito di rinnovamento: è di questa combustione di materiali eterogenei ma tutti in qualche modo incendiari che vive, e prospera, il Gran Circo Capossela.

Short URL: https://www.circo.it/?p=1954

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