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C’è poco da ridere con l’aria che tira

Villaggio riceve il premio Grock dalle mani del sindaco di Imperia (nella foto di Riviera24.it)
“Pensavo che fosse uno di quei riconoscimenti piccoli, invece scopro che si tratta del riconoscimento a un certo tipo di comicità, che è la mia e che Fellini stesso amava. Io sono così come il clown: faccio le cose distorte, deformo la realtà”. Disarmante e istruttivo come sempre, Paolo Villaggio, si è presentato ieri a Imperia per ricevere dalle mani del sindaco Paolo Strescino, di Sergio Maifredi ed altri il premio Grock, insieme al quale è poi ripartito portando con sé il calore del pubblico che l’ha a lungo applaudito. “Questa l’attacco dal lattaio sotto casa”, ha detto mettendosi in tasca la motivazione del premio appena letta da Maifredi, che ha sottolineato di Villaggio il “creatore di alcune tra le più riuscite maschere contemporanee, dal paradossale prof. Kranz al timidissimo Giandomenico Fracchia per arrivare al sottile e sottomesso Ugo Fantozzi, forse il personaggio più popolare dell’intera storia della comicità italiana”. Lo ha definito “artista acuto e feroce”, che “ha saputo scolpire nell’immaginario collettivo personaggi in cui si riconosce da oltre 40 anni l’Italia intera”, un attore che ha “raccolto una eredità antica, facendo discendere le sue maschere dalla commedia dell’arte, calandole nel nostro quotidiano”, un “clown senza malinconie o patetismi”.
E Villaggio non ha fatto sconti, fedele alla tradizione che il comico può fare e dire di tutto e di più. “I politici sono un gruppo di mediocri che non riuscendo a fare nulla nella vita hanno fatto i portaborse di qualcuno, fino a quando sono riusciti a scavalcare questo qualcuno e a prendere il suo posto”. Ecco uno dei suoi giudizi. “I politici non fanno ridere – ha detto ancora – parlano un linguaggio che nessuno capisce, proprio come facevano i preti fino a qualche anno fa”. Poi sulla televisione, che Villaggio vede ”in declino, piena di nulla. Il pubblico guarda i delitti, che parlano un linguaggio friabile, per passare poi al calcio e ai reality. La tv abbassa il livello culturale e più questo si abbassa, più fa audience e più prende soldi dalla pubblicità.”
“Mi fa piacere ricevere questo premio, perché ho grande stima di Grock e della sua opera, mi pare però che il clown svizzero sia ancora poco conosciuto in Italia e spero che questa manifestazione aiuti a promuoverne le gesta”. Così, conversando con i giornalisti, Paolo Villaggio è entrato anche nel merito. Che rapporto ha personalmente con la figura del clown, gli ha chiesto Marco Vallarino del Secolo XIX? “Si tratta senza dubbio di un tipo di spettacolo che mi affascina molto, anche se l’inizio non è stato dei migliori. Avevo quattro anni quando mia mamma portò me e mio fratello al circo per la prima volta. Ricordo bene che l’ingresso dei clown in pista mi fece paura. Bianchi e allampanati com’erano mi trasmettevano un senso di disagio e smarrimento”. Ma poi le cose son cambiate. “Poi andò bene perché effettivamente il merito principale del clown è quello di riuscire a far ridere suscitando nello spettatore, con le sue goffaggini, un palese richiamo a quella che per tutti è l’età più bella, la prima infanzia. In quel periodo, come tutti i cuccioli, siamo buffi, indifesi e facciamo ridere anche senza volerlo”, ha spiegato Villaggio. E davanti all’obiezione che la figura del clown sembra un po’ in disuso oggi al cinema e in tivù, l’attore ha così risposto: “Perché si rifà troppo alla gestualità, mentre sullo schermo prevale la comunicazione della parola, basti pensare al cabaret che tanto si vede in giro. Io comunque sono legatissimo a spettacoli primordiali come Stanlio e Ollio, in cui loro impersonavano palesemente due bambini (almeno come età mentale) alle prese con lo strano mondo che li circondava. Mi fanno tanto ridere ancora oggi”. Un Villaggio più propenso a parlare dell’attualità, però, quello che si è presentato ieri al teatro Cavour di Imperia. A proposito del futuro, il suo giudizio è stato fulminante: “Il futuro non lo vedo perché sono vecchio! Il mondo di oggi invece mi appare depresso e allo sbando, soprattutto quello dei giovani, che nel week end spesso si sballano perché non sanno che altro fare. La vedono grigia e hanno ragione, ma il peggio è che, a differenza di noi vecchi, non hanno nemmeno il ricordo dei vecchi tempi a consolarli, perché loro non hanno mai avuto un periodo in cui hanno vissuto meglio di ora.”
E qual è il ruolo della televisione e del cinema in una situazione del genere? Possono aiutare ad uscire dalla crisi? “No perché essi stessi hanno contribuito a generare questa crisi che è una crisi anche di valori, abbassando il livelo del linguaggio per aumentare l’accessibilità ai mezzi di comunicazione e quindi l’interesse degli sponsor. Ora è tardi per tornare indietro”.