Gerardi Lions. “Il vincitore di belve”. Un marchio, una fama. Amedeo Gerardi è stato un ammaestratore d’altri tempi. La stampa parlava di lui quasi come di un personaggio mitologico, che sfidava la paura con un mestiere di grande fascino e pericolo. Erano gli anni 50. Il destino ha voluto che nei giorni in cui veniva emanata la legge sul circo e lo spettacolo viaggiante, nel marzo del 1968, Amedeo Gerardi rimanesse coinvolto in un incidente grave, anzi gravissimo. Che gli costò la vita. Non era la prima volta che un felino, uno degli amati compagni di gabbia di Amedeo, accorciava troppo le distanze. Sul corpo di questo domatore i segni raccontavano l’imprevisto sempre in agguato. Ma lui non si era mai stancato di voler bene ai suoi leoni e alla fine sono stati loro a dire l’ultima parola sulla sua vita.
Figlio di Delia Anselmi e Carlo Gerardi, Amedeo nasce in un ambiente dove l’odore della segatura ha una forza attrattiva che non lascia scelta.
Come accadeva spesso, in quei tempi, l’artista imparava a fare di tutto in pista e fuori. Il circo familiare richiede competenze multiple ed energie instancabili. Quello dei Gerardi, poi, è un nome che viene da lontano, che il circo l’ha costruito di generazione in generazione. E farsi assorbire da questo vortice di storia, identità, lavoro, passione e Dna familiare, è naturale come succhiare il latte dal seno materno.
“Nostro papà ha cominciato come cavallerizzo, così come il fratello Luigi”. Lo raccontano i figli, Marco e Arlene, che già da diversi anni sono “fermi” in un paesotto vicino a Verona, Pescantina. Luigi eccelle in questa disciplina e quando si confronta coi colleghi è uno spettacolo da ammirare. “Ricordo che nei circhi si facevano delle gare, delle piccole e divertenti sfide per misurarsi in alcune discipline”, spiega Marco, “e come cavallerizzo Luigi Gerardi aveva pochi rivali”.
Amedeo amava i cavalli e gli animali in genere che i circhi hanno reso familiari a milioni di persone. Torna dalla leva militare con un ginocchio rotto, eredità di un’altra passione, quella del pallone. Quando rimette piede nel circo di famiglia s’impegna in una disciplina nobilissima ma che non richiede di mettere a dura prova il fisico, quella del clown. Nel dopoguerra Amedeo e Luigi tengono alta la notorietà del “Circo Gerardi”, poi nel ’50 si dividono. Ognuno per la propria strada. Luigi tiene il tendone, le attrezzature e continua a portare in giro il circo, mentre Amedeo parte coi suoi leoni e con l’unica eredità che si sente cucita addosso, quella di ammaestratore. Si mette su piazza, come si suol dire. Presenta un bel numero di gabbia sotto diverse insegne italiane, dagli Orfei ai Casartelli nel circo Aurora. Nel frattempo i quattro figli di Amedeo sfornano un esercizio che li porterà in mezza Europa, sotto a chapiteaux blasonati e nei varietà: i ciclisti acrobati. Oltre a Marco e Arlene ci sono Luciano e Belita. Una troupe coi fiocchi.
Giovanissimi, prendono i primi applausi in un piccolo circo, quello di Giancarlo Franchetti. Amedeo invece riceve un’offerta per andare a lavorare in Asia coi suoi leoni.
E’ il 1952 quando si imbarca dal porto di Genova e dopo un mese di viaggio arriva a Colombo, quand’era ancora capitale dello Sri Lanka. Ad ingaggiarlo è stato il circo tedesco Bush, deciso ad esplorare nuove, misteriose e generose terre lontane. Si esibisce in molti centri della Malesia e delle Filippine. Vecchie foto ingiallite lo ritraggono vestito da gladiatore romano mentre stringe la mano e s’inchina con nobile eleganza davanti al governatore di Singapore, che gli esprime tutta la sua ammirazione. Quando debutta è da poco sbarcato dal lungo viaggio nell’oceano indiano e i leoni probabilmente non sono dello spirito giusto. Ma Amedeo si sente sicuro e, soprattutto, non può permettersi di scegliere se riposare o lavorare. La tabella di marcia è fissata. Deve sostituire Sacha Houcke, che a Colombo era stato chiamato per girare un film sul circo, ma finite le riprese aveva salutato. Si accendono i riflettori, dunque, Amedeo entra in gabbia, dove lo attendono Tobruk, Ras, Tiber, Cabiria, Cleopatra e Sulka. Sono eccitati, irrequieti. Ma come sempre riesce a stregare il pubblico. Fila via tutto liscio fino a quando Tobruk si avventa su Amedeo e lo azzanna ad un braccio. Lo ferisce, ma Gerardi, pur sanguinante, riesce a portare a termine il numero.
I debutti infausti accompagnano la vicenda artistica di Amedeo Gerardi. Questo primo incidente richiederà oltre un mese di ospedale. Poi riprende come nulla fosse accaduto e continua ad esibirsi fra Hong Kong, centri piccoli e grandi e isole per circa un anno e mezzo. Quindi rientra, torna a lavorare col fratello Luigi e vende tutti i leoni e l’attrezzatura a Darix Togni. Che sia stata la disavventura asiatica o qualcosa di diverso a farlo decidere di dire basta, non lo sappiamo. Ma non sarà una decisione definitiva.
I figli di Amedeo crescono, anche artisticamente, e diventano uno dei numeri di richiamo di Krone e dei circhi internazionali che sono sulla cresta dell’onda. Il complesso tedesco sarà solo il primo di una lunga serie in terra straniera. Approdano anche al Palmiri Benneweis, che seguono nella prima lunga tournée in Israele.
Amedeo in Italia, lontano dalla famiglia, non se la sente di rimanere inattivo. Ancora giovane e pieno di energie, si risveglia in lui la grande passione per i felini e non resiste alla voglia di tornare in gabbia. Acquista da Enis Togni un nuovo gruppo di leoni, quelli mandati da Bruno Togni, e parte ancora per l’estero. Stavolta lo chiamano da Rancy, in Francia. E’ il marzo del 1968.
“Noi in quel momento lavoravamo al circo stabile di Madrid”, dicono Marco e Arlene. I fatti che seguono avvengono velocemente. Troppo.
E’ il giorno del debutto a Versailles: 13 marzo 1968. Rancy è un circo importante e il pubblico accorre per vedere il domatore italiano che gode di buona stampa e fa parlare di sé. Amedeo è contento di tornare ad assaporare l’odore dei suoi felini nel cerchio magico del circo. E’ sorridente. Si parte. I leoni salgono e scendono dagli sgabelli, entrano nel cerchio, si stendono a terra come gattoni. Ad un certo punto Amedeo scivola a cade.
“Forse a causa del solito ginocchio infortunato col quale era tornato a casa dal militare. Forse per colpa delle scarpe di vernice nuove”, dice Arlene cercando una ragione all’accaduto. Le cronache del tempo parlano anche di uno sgabello che cade e il leone, spaventato, cerca di aggrapparsi al domatore. E’ una frazione di secondo: il leone lo travolge e infila i denti all’altezza del femore. Le ferite lacerano la carne viva. “Chi era presente ci ha poi raccontato che non sembrò nemmeno un incidente ma qualcosa di costruito, anche perché mio papà sorrideva, non dava segni di sofferenza”, aggiunge Arlene. L’orgolio e lo stile dell’artista doc fanno si che Amedeo non mostri minimamente di essere in difficoltà davanti al suo pubblico. “A vedere il debutto c’erano i direttori di numerosi circhi francesi, compresi quelli importanti. Fra questi Joseph Bouglione, che non esita un attimo ad andare in aiuto a mio padre, entrando nella gabbia per allontanare il leone”, dice Marco Gerardi. Invece accade l’irreparabile per Amedeo. Viene trasportato all’ospedale, dove morirà tre giorni dopo. I familiari accorrono quando è già nel nosocomio francese. “Forse, se fosse accaduto in Spagna, dove sono abituati a curare le incornate dei tori, si sarebbe salvato. Invece all’ospedale di La Roche l’hanno cucito subito e l’infezione ha preso il sopravvento, tanto da richiedere l’amputazione del piede, poi della gamba…”, sottolinea Marco Gerardi.
In un periodo in cui i telefonini non avevano ancora fatto la loro comparsa, i figli apprendono la notizia della disgrazia quasi per caso: “Con noi c’era un artista francese che comprava i quotidiani del suo Paese. E all’indomani dell’incidente ci fece vedere un articolo che riguardava nostro padre”, ricorda Arlene. Un brivido freddo e poi la corsa in Francia. Sono le ultime ore di vita di Amedeo Gerardi, che si spegne il 19 marzo 1968.
Negli stessi giorni in cui veniva coronato il sogno del circo e dello spettacolo italiano, con la nascita della legge n. 337, che reca proprio la data del 18 marzo 1968 e che entra in vigore il 25 aprile, la gente del viaggio piange un grande uomo e un artista indomito. I funerali si celebrano a Fano e accorrono tutte le maggiori personalità del circo italiano. Ci sono i rappresentanti dell’Ente Nazionale Circhi, direttori e artisti, autorità locali e nazionali. L’amministrazione comunale volle che il corteo funebre attraversasse il centro della città.
Amedeo era nato a Grosseto il 15 gennaio 1915 e a soli 53 anni lasciava la scena di questo mondo dopo avere molto amato il circo. Oggi riposa nel cimitero di Pescantina, insieme ad altri familiari. (c.m.)
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