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Addio a Zanzotto: “Il giocattolo circo” di un grande poeta

È morto, ieri mattina, Andrea Zanzotto, uno dei più grandi poeti del nostro tempo: aveva compiuto novant’anni il dieci ottobre scorso, viveva a Pieve di Soligo, nella Marca Trevigiana, il luogo in cui era nato e da cui non aveva mai voluto separarsi.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo e il privilegio di poter ascoltare dalla sua voce i racconti della sua infanzia, di un paesaggio ancora intatto – che tale rimarrà nelle sue poesie, – della leggendaria maestra Morchet, del suo amico Nino “signore del feudo di Dolle” risplendente di saggezza contadina, alla cui generosa tavola sedevano Ferdinando Camon, Nico Naldini, Federico Fellini.
Fellini era un carissimo amico di Zanzotto, e nel luglio del 1976 gli chiede collaborazione per il suo Casanova; per la scena iniziale che raffigura un misterioso rito e per il personaggio di una gigantessa veneta conosciuta da Casanova in un luna park londinese, ha bisogno di quelle “invenzioni verbali e fonetiche” di cui il suo amico è maestro. È questa la genesi di quel magnifico libro di poesie in lingua veneta che è Filò (1988). In tutte le poesie di Zanzotto – composte in un arco di tempo lunghissimo, tale da accompagnare quasi per intero la sua esistenza – si respira un’attrazione invincibile per il paesaggio e insieme come uno sgomento, un fondo dolore per gli interventi sconsiderati e brutali che sempre di più lo hanno ferito fino a renderlo quasi irriconoscibile.
In tutte le poesie si affollano e si incrociano con intense risonanze psichiche le voci, i suoni, gli idiomi più diversi, ma con una tensione sempre avvertibile verso quel microcosmo dell’infanzia che ci ha “battezzato” al mondo e alla vita. Mi piace ricordarlo con questa sua poesia, densa di immagini e di suoni ricorrenti, che si apre e si chiude nel segno di un’infanzia meravigliata e di un piccolo circo itinerante.
Maria Vittoria Vittori


Dolcezza. Carezza. Piccoli schiaffi in quiete.

Dolcezza. Carezza. Piccoli schiaffi in quiete.
Diteggiata fredda sul vetro.
Bandiere piccoli intensi venti/vetri.
Bandiere, interessi giusti e palesi.
Esse accarezzano libere inquiete. Legate leggiere.
Esse bandiere, come-mai? Come-qui?
Battaglie lontane. Battaglie in album, nel medagliere.
Paesi. Antichissimi. Giovani scavi, scavare nel cielo, bandiere.
Cupole circo. Bandiere che saltano, saltano su.
Frusta alzata per me, frustano il celeste ed il blu.
Tensioattive canzoni/schiuma gonfiano impauriscono il vento. Bandiere.
Botteghino paradisiaco. Vendita biglietti. Ingresso vero.
Chiavistelli, chiavistelle a grande offerta.
Chiave di circo-colori-cocchio circo. Bandiere.
Nel giocattolato fresco paese, giocattolo circo.
Piccolissimo circo. Linguine che lambono. Inguini. Bifide
trifide bandiere, battaglie. Biglie. Bottiglie.
Oh che come un fiotto di fiori bandiere balza tutto il circo-cocò.
Biglie bowling slot-machines trin trin stanno prese
nella lucente [ ] folla tagliola del marzo –
come sempre mortale
come sempre in tortura-ridente
come sempre in arsura-ridente ridente
E lui va in motoretta sulla corda tesa su verso la vetta
del campanile, dell’anilinato mancamento azzurro.
E butta all’aria. Bandiere. Ma anche fa bare, o fa il baro.
Bara nell’umido nel secco. Carillon di bandiere e bandi.
S’innamora, fa circhi delle sere.
Sforbicia, marzo. Tagliole. Bandi taglienti. Befehle come raggi e squarti.
Partiva il circo la mattina presto –
furtivo, con un trepestio di pecorelle.
Io perché (fatti miei), stavo già desto.
Io sapevo dell’alba in partenza, delle
pecorelle del circo sotto le stelle.
Partenza il 19, S. Giuseppe,
a raso a raso il bosco, la brinata, le crepe.
Andrea Zanzotto

Da Il galateo in bosco, Mondadori, 1978.

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