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A Machincuepa la sfida si chiama circo sociale

Foto tratta da www.machincuepacircosocial.org

Non credo che il mio incontro con il circo sia stato del tutto casuale. Mi piace pensare che tutti i dettagli si siano sistemati bene e al momento giusto per far sì che succedesse. Dà un tono più magico e affascinante al ricordo e al racconto!
Ero alle ultime settimane del servizio civile italiano in El Salvador, e si stava concludendo il progetto comunitario in cui ero volontaria nella montagna di Morazan, che per un anno mi aveva visto completamente assorbita. Non avevo voglia di tornare a casa, quel piccolo grande sforzo collettivo che nell’ultimo anno era diventato un risultato tangibile non mi permetteva di chiudere la valigia e andare via. Tutte le mie fantasie si annidavano in un unico pensiero: scoprire altre forme di lavoro comunitario nel panorama della cultura latinoamericana. Non mi restava altro da fare che prendere lo zaino e partire alla ricerca. Nel cammino il mio viaggio si arrichì di incontri “casuali”, come un dottore col naso da pagliaccio, attivisti giocolieri, il teatro partecipativo nelle piazze, fino a percepire in maniera tangibile la magia e l’allegria che penetrano nel più duro e ostile dei paesaggi umani. Più andavo avanti, più mi rendevo conto che proprio tra la povertà, l’emarginazione e l’abbandono spuntano fuori sorrisi, colori, speranze e giochi mai visti prima. L’arte come strumento di cambiamento sociale Dopo qualche settimana arrivai a Città del Messico. La prima impressione fu devastante. Una città immensa, milioni di persone indaffarate e frettolose, caos, traffico. Non conoscevo quasi nessuno e non sapevo da dove cominciare a cercare qualcosa. Iniziai a chiedermi se davvero era il posto giusto per me. Un giorno, sempre casualmente, lessi un articolo su un’organizzazione che da 12 anni interviene nell’area urbana marginale di Città del Messico e in alcune scuole, con laboratori di circo sociale: Machincuepa Circo Social.
Nata sotto l’impulso del Cirque du Monde, programma di azione sociale del Cirque du Soleil, da poco più di 15 anni interviene con giovani in difficoltà, soprattutto ragazzi di strada, attraverso le arti circensi. Rimasi colpita dall’articolo “il circo come mezzo di prevenzione della violenza, del consumo di droga, dell’emarginazione; l’arte come strumento di cambiamento sociale”. Cercai la loro sede, mi presentai e chiesi informazioni. Trovai un ambiente accogliente, ospitale e confortevole. Mi raccontarono la loro storia in un modo così affascinante che proposi di aiutarli volontariamente nei laboratori e nelle attività per poter imparare da loro. Casualmente accettarono. I laboratori si svolgevano, e si svolgono tuttora, nella comunità urbana di Las Aguilas Tarango, costruita sul pendio di un burrone, sovraffollata di case in evidente abuso edilizio. In ciascuna vive più di una famiglia, e la violenza, la delinquenza, le gravidanze in età giovane, la vendita e il consumo di droga per la strada fanno da sfondo alla vita quotidiana. A questo mondo si affianca il centro sociale della comunità, dove un salone grande e vuoto si trasforma in pochi minuti in uno scenario magico e colorato. Da una bottega si tirano giù materassini, da vecchie scatole di plastica vengono fuori palline, clave, bolas, piatti cinesi, diabolos e dai buchi del tetto, ben nascosti, scendono trapezi e tessuti. Prima lezione: è fondamentale avere un posto sicuro dove ogni bambino e ragazzo possa sentirsi rispettato e considerato.
Mi piaceva prendere parte ai laboratori e per essere davvero d’aiuto ripresi ad allenarmi, e mi resi conto che non ero poi così arrugginita! Al principio fu davvero difficile: a volte tornavo a casa frustrata, altre emozionata, ma mi convincevo sempre di più di voler continuare ad arrampicarmi su un tessuto o un trapezio per sentire l’adrenalina di un salto nel vuoto, sfidando i miei limiti e le mie paure. Pensavo ai bambini di Machincuepa e mi sentivo esattamente come loro quando gridano “Ce l’ho fatta! Ci sono riuscito!” e il sorriso spontaneo cambia il volto in un espressione di soddisfazione, orgoglio, alimentando naturalmente quell’autostima, a volte mai sentita. Più passavano i giorni più capivo cosa avrei voluto fare “da grande”: volevo essere un’istruttrice di circo sociale. Passavo il tempo tra allenamenti e laboratori di circo, fino a che un giorno mi chiesero: “Cerchiamo una persona per i ‘taller’. Tu conosci i ragazzi e le loro famiglie, come lavoriamo, fai circo, vuoi essere istruttrice? Noi ti diamo tutta la formazione di cui hai bisogno”. Ma avevo capito bene o era uno scherzo? Non potevo credere alle mie orecchie, avevo paura di accettare, non sapevo se ne ero all’altezza. Inghiottii forte e dissi di si, accettando la sfida. Mi innamoro giorno dopo giorno del circo sociale, mi metto in discussione e imparo dai ragazzi, dalle loro reazioni, ribellioni, dai loro successi. Nel circo devi collaborare con gli altri, devi fidarti e dare fiducia rafforzando sempre più il lavoro di squadra.
Tutti siamo importanti, e i ragazzi devono essere aiutati a rendersi conto del loro ruolo nella famiglia, nel gruppo, nella società. Una delle mie tecniche favorite è la piramide umana che rappresenta un meraviglioso esempio di questo concetto: quando carichi qualcuno sulle tue spalle, ti assumi completamente la responsabilità della vita dell’altro, sei la sua base e per nessun motivo al mondo lo farai cadere. D’altra parte quando sei sopra tu senti l’instabilità e il rischio di cadere, ti affidi al tuo compagno, creando una complicità unica, sentendoti davvero parte di un gruppo. Essere lì ad accompagnare questo processo è una crescita personale fortissima, devi esserci non per evitare la caduta, ma per attutirla, per incoraggiarli a rialzarsi e riprovarci. Devi credere in loro, stimolare le loro capacità e rispettare le loro paure, diventando complice dei loro traguardi. È una grande responsabilità e un’enorme soddisfazione contribuire a questo sforzo collettivo, richiede coerenza e tanta forza. Spesso diventi un modello e hai la responsabilità di non deluderli, soprattutto considerando che intorno non ci sono alternative a cui aggrapparsi. La congiuntura sociale e politica è degradante e un giovane che guarda al suo futuro non ha molto in cui sperare. Lo Stato messicano ha dichiarato guerra al narcotraffico (fenomeno che racchiude una vasta gamma di interessi espliciti e occulti in scala nazionale e internazionale), una guerra senza scrupoli in cui prende posto la militarizzazione del paese e l’aumento degli indici di violenza a livelli allarmanti. La politica è un fantoccio al servizio dei magnati dell’economia delle multinazionali e delle entrate della minuscola però ricchissima classe dirigente.
Inoltre, secondo le statistiche, il Messico è il paese più insicuro al mondo per i giornalisti, è un paese in cui la libertà di parola e di espressione è proibita nella pratica comune perchè l’indignazione e le denuncie pubbliche sono punite con repentine e massive sparizioni e conseguenti morti nei più disparati angoli del paese. La repressione è lo strumento più facile e veloce per spegnere le proteste. Inoltre, i valori promossi dalla società attuale quali l’individualismo, l’ingiustizia, la competizione sono così penetrati nel tessuto sociale che decostruirne le dinamiche è un impresa ardua. Il segreto è proprio assaporare una maniera differente di relazionarsi per convincersi che un altro mondo è possibile. E il circo lo permette. Certo, tutto questo richiede un grande sforzo per reinventarsi ogni giorno, per creare nuovi stimoli e nuove proposte. Montare uno spettacolo, lavorare duro per presentarsi di fronte ad un pubblico per poter cambiare l’idea che ha dei giovani, persone con infinite capacità e che prendono in mano il loro futuro. Inoltre cercare un incontro con le famiglie, spazi di convivenza arricchiti dall’incanto del circo, organizzare le escursioni e i corsi estivi. L’obiettivo non è formare artisti, ma persone capaci di vivere coscientemente e pienamente con se stessi e con gli altri.
Solidarietà Internazionale

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