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Néca che c’è il gágio

Una vecchia foto in bianco e nero: Bertino Niemen e la sua famiglia

Il gergo è la lingua di una certa comunità, più o meno grande. C’è un gergo dei giovani, ad esempio, anzi uno per ogni “tribù” di giovani. E così flashare o flesciare sta per vedere qualcuno o qualcosa di sfuggita oppure credere di aver detto o visto ma senza che ciò corrisponda alla realtà (“Hai flashato, io non ho mai detto questo”), sciala significa invece “rilassati, stai tranquillo, tutto ok”. Ma c’è anche un gergo circense, e si può dire che l’abbia studiato per la prima volta una neolaureata dell’università degli studi di Milano, corso di laurea in lettere moderne (relatore prof. Andrea Scala, correlatore prof. Alessandro Serena), Chiara Giudici, con un tesi dal titolo “Il gergo dei circensi: materiali e ricerche”.

“Il termine gergo indica una varietà di lingua dotata solo di lessico specifico, che viene utilizzata da particolari gruppi di persone, in differenti situazioni, per criptare la comunicazione agli estranei e sottolineare l’appartenenza ad un gruppo rafforzandone i legami e la coesione interna”, spiega Chiara Giudici. Quindi a voler essere precisi, non si potrebbero definire gergali i linguaggi settoriali (ad esempio propri di alcune professioni e quindi espressioni più che altro tecniche) e nemmeno quelli giovanili, perché mancano di una stabilità, non sono socialmente caratterizzati ed hanno un carattere principalmente ludico. E nemmeno si può dire siano sinonimi gergo e dialetto. Ma esiste invece un gergo circense, che è altra cosa dal linguaggio tecnico del circo, analizzato a più riprese da autori quali Alessandra Litta Modigliani e Sandra Mantovani.

Il gergo circense è un recinto abbastanza invalicabile all’interno della parlata dei gagi, la lingua degli altri, degli stanziali. E’ la lingua del popolo nomade, di quell’insieme di mestieri che ha fatto della mobilità il principale mezzo di sostentamento: “Gli appellativi di camminanti o scarpinanti “coloro che camminano”, calcanti “coloro che calcano la strada”, bianti “coloro che vanno per la via”, con i quali i gerganti chiamano se stessi, sono un chiaro indicatore di come una condizione di vita divenga elemento identitario all’interno di un gruppo sociale. La condizione di mobilità non caratterizza il gruppo solo nell’ottica di un riconoscimento interno, ma anche dal punto di vista esterno: l’uomo stanziale considera il nomade come irrimediabilmente diverso”. Il gergo, dunque, può anche essere considerato l’alfabeto delle minoranze linguistiche, una sorta di lingua parallela che può esprimere anche un rifiuto della società “degli altri”. Il gergo non è però una lingua dell’esclusione, al contrario esso è la lingua dell’appartenenza, nella quale riconoscersi e riformulare la realtà circostante assimilandola nella cultura del gruppo.

“Come lingua di minoranza il gergo svolge un’importantissima funzione di coesione sociale divenendo il più importante collante di un gruppo che non ha origini geografiche comuni, ma che condivide solo la propria marginalità”.
La neolaureata – fra l’altro in modo brillante visto che ha ottenuto un bel 110 – ha svolto la sua ricerca concentrandosi sull’analisi del gergo parlato dai circensi a partire da un corpus lessicale raccolto tramite interviste effettuate in circhi itineranti presenti nel Nord Italia, principalmente in Lombardia, Piemonte e Veneto. Le interviste sono state condotte presso circhi di piccole, medie e grandi dimensioni, all’interno dei quali si è tentato di consultare “parlanti” che potessero offrire un buon grado di varietà, sia in relazione all’età e al sesso, sia per la loro appartenenza a famiglie di recente o antica origine circense.

Volti del circo di ieri. Albina Gerardi

Si sono resi disponibili, il circo Apollo della famiglia Anselmi, il circo Do Brasil dei Gerardi (“Jasmine, figlia ventenne del proprietario Roberto Gerardi, ammaestratrice di colombe ed equilibrista con spade, afferma di parlare quotidianamente in gergo all’interno della propria famiglia e durante le ore di lavoro, essendo il gergo parlato spontaneamente da giovani ed anziani”), e poi Nando Orfei, la moglie Anita Gambarutti e il figlio Paride.

Significativo quanto la tesi riporta delle dichiarazioni di Paride Orfei: “Nonostante una visione sostanzialmente positiva Paride ritiene il gergo connotato da una certa rozzezza e grossolanità, considerandolo “il vocabolario degli ignoranti perché è tutto un fai da te”; allo stesso tempo però teme che i ragazzi, frequentando maggiormente la scuola e avendo un livello di istruzione maggiore, stiano definitivamente abbandonando il gergo ed è convinto che un tempo il vocabolario gergale fosse più ricco e strutturato, ma già il nonno soleva dirgli “il gergo ha poche parole, ma buone”.”
Fra i circhi avvicinati per studiare il gergo specifico, “Donna Regina Orfei-Martini”, e la terminologia è stata fornita da Umberta Riva, ma anche da Kevin e Alison, Deni Niemen e William Biasini. L’elenco degli intervistati è lungo e comprende anche Arix Cirque de Monaco della famiglia Maugeri e Paolo Bogino.
Soffermiamoci su qualche termine del gergo circense: mestieri (giostre), mevísi, tovísi, sovísi (io, tu, lui), che còva! (che vergogna), fai nibèrta (non dire niente), lui poleggia troppo (lui dorme troppo), stanziare (il mècco stanzia: “L’uomo capisce”; la pivèlla ci stanzia“: la ragazza ci sta”; stanzia tanta marája: “c’è tanta gente”), galuppo (inserviente), urto (pane).
Altri esempi della lingua del circo? Campino (camper, roulotte), caucciú (contorsionista, nel senso che è in grado di piegarsi come la gomma), dritto (è il circense) e il termine è associato ad un significato positivo, contrapposto a gágio (la persona non circense; néca che c’è il gágio, “zitto che c’è lo stanziale”. Ancora: baléngo e narvalo (pazzo, matto), bigónge (mutande), carnènte (madre), lòffio (brutto, cattivo), fifarèl (sigaretta), pradelín (fratellino), lòvi (soldi), svignare con la rákli (scappare con la fidanzata).

Chiara Giudici ha svolto anche un’analisi etimologica del gergo circense, confrontando il corpus gergale raccolto con liste lessicali antiche e moderne, tra le quali il vocabolarietto quattrocentesco di Teseo Pini, il manuale Modo nuovo di intender la lingua zerga datato 1545, la lista di vocaboli compilata dal vagabondo Teuta intervistato da Danilo Montaldi ed edita nel 1961, il vocabolario gergale stilato da Ernesto Ferrero e pubblicato nel 1972, il Vocabolario sinottico delle lingue zingare parlate in Italia del 1995 e una lista di vocaboli gergali redatta dal circense Gilberto Zavatta e che si trova al CEDAC di Verona.

Una storica immagine del circo Zavatta

Il gergo ha una funzione criptica, prende forma anche dalla volontà di non farsi comprendere all’esterno, di camuffarsi. Addirittura il gergo dà vita ad un proprio sistema di numerazione che ha per base il numero 12. La lingua come metodo di identificazione, insomma: “Colui che è in grado di capire ed esprimersi nella lingua del gruppo viene immediatamente riconosciuto come membro del gruppo stesso”.
Ma attenzione. Il gergo circense non denota una situazione di subalternità e inferiorità, perché anzi esprime un’alta coscienza di sé, esprime la furfa, cioè “intelligenza, ingegno, furbizia” e non a caso si contrappone al gagio, il “contadino”, visto come sciocco e impacciato. “Il gergo diviene quindi, per coloro che lo parlano, sintomo di superiorità, lingua della scaltrezza”.

Risulta che diversi termini usati nel circo hanno una origine sinta, anche se fra i circensi oggi predomina una valutazione tendenzialmente negativa della lingua sinta e dell’intero sistema culturale sinto, considerato rozzo, triviale, legato in modo ancestrale alla truffa e al furto, un sistema culturale dal quale si vogliono prendere le distanze anche linguisticamente. “L’arrivo di Sinti e Rom in Europa costituirà uno degli apporti storici basilari per la nascita del circo moderno, in particolar modo avranno un ruolo importante i Sinti, i quali, unendosi ai saltimbanchi rinascimentali, hanno generato molte famiglie moderne dello spettacolo viaggiante, apportando nel circo le loro specialità: lettura della fortuna, musica, marionette e teatro delle ombre, mentre molti gruppi rom si dedicheranno all’ammaestramento di animali”, documenta la tesi.
Lo studio di Chiara Giudici mette in evidenza che nella formazione del gergo circense gli apporti sono diversi: “E’ evidente la preponderanza del furbesco, in buona parte di antica attestazione, al quale si aggiungono gli abbondanti prestiti dalla lingua romaní, tra tali prestiti troviamo vocaboli per i quali non è possibile una precisa classificazione, essendo passati già da secoli ai gerghi storici. Minoritari risultano i prestiti da altre lingue, limitati alla lingua tedesca, e le voci peculiari al gergo circense. Analizzando i corpus gergali è possibile calcolare che il 53% è formato da voci furbesche, delle quali il 24% anticamente attestate, il 40% da prestiti sinti, dei quali il 4% passati ai gerghi storici, il 3% sono voci in comune ai dialetti, solo il 2% corrisponde a prestiti da altre lingue, mentre le voci peculiari del gergo circense si limitano al restante 2%. Osservando le occorrenze dei vocaboli tra i differenti gruppi circensi è possibile notare che i corpus gergali hanno mediamente più del 29% del lessico in comune”.

C’è poi un altro aspetto importante: “Tendenzialmente il giudizio di valore che accompagna il gergo è positivo, poiché è considerato parte della tradizione circense, soprattutto nei parlanti nati nella seconda metà del Novecento. Pochi, specialmente i membri più anziani, ma non solo, valutano negativamente il gergo ritenendolo un linguaggio correlato ad ignoranza e rozzezza”.
Il gergo circense è un repertorio del passato o esiste ancora qualche forma di trasmissione? “Tra i circensi è molto diffusa la convinzione secondo la quale il gergo odierno sarebbe una versione impoverita di un codice anticamente più complesso, alcuni gerganti giungono addirittura a supporre che il gergo possa essere una sorta di fossile, ciò che rimane di una antica lingua perduta, originariamente tramandata verticalmente e parzialmente abbandonata a causa dell’interruzione nella trasmissione. La quasi totalità degli adulti circensi intervistata è convinta che, proprio a causa della mancata trasmissione della conoscenza gergale ai giovani, l’utilizzo del gergo stia rapidamente diminuendo. In realtà tale affermazione viene smentita dalle dichiarazioni delle ragazze intervistate, le quali asseriscono di avere appreso il gergo all’interno della propria famiglia ascoltando genitori e parenti; si può quindi affermare che la trasmissione del gergo avviene tuttora attraverso meccanismi verticali, tramite l’ascolto dei famigliari”.

Sostiene Chiara Giudici che “possiamo ipotizzare che fino a cento anni fa vi fossero, nelle famiglie circensi, membri bilingui per i quali il sinto rappresentava la lingua primaria. Successivamente la romaní, perdendo la propria funzione di espressione di una comunità linguistica e di un sistema di valori, passerà progressivamente da codice quotidiano a codice stigmatizzato. Ciò accade nell’ottica di una rigida pianificazione linguistica all’interno delle famiglie circensi di origine sinta, nelle quali i genitori smettono consapevolmente di tramandare la propria lingua ai figli, perché ritenuta svantaggiosa rispetto alla lingua egemone e segnale di appartenenza ad una comunità dalla quale si afferma di volersi distanziare. Tale impoverimento porta il sinto, verosimilmente parlato da alcune famiglie circensi fino ai primi del ‘900, a divenire una mera possibilità lessicale con la quale affiancare o arricchire il gergo”. Eppure dalle interviste raccolte si comprende che “tra le ragazze intervistate, nate negli anni ‘90, il vocabolario gergale conserva buona parte dei termini conosciuti dagli adulti, quando non è arricchito da nuovi prestiti dalla lingua romaní. Inoltre i membri più giovani affermano di utilizzarlo quotidianamente con amici e coetanei. Il gergo circense diviene, per i ragazzi appartenenti a famiglie operanti nel circo, un modo di deviare dalla lingua standard e una caratteristica che li identifica fortemente, allontanandoli non solo dalla lingua usata dagli adulti, genitori e docenti, ma anche da quella utilizzata dai coetanei stanziali: non solo giovani, ma giovani circensi”.
Claudio Monti

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