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McDonald’s, un impero costruito sul clown

Le sue statue accolgono ogni giorno milioni di avventori in tutto il pianeta, essendo il simbolo della più grande catena di fast food nell’epoca della globalizzazione. Il regno di hamburger, cheeseburger, patatine, big mac e ogni altro prodotto del colosso americano McDonald’s, si affida da tempo al clown per fare colpo sull’immaginario gastronomico di bambini e adolescenti.

La maschera di Giangurgolo.

Ronald Mcdonald ha i capelli rosso acceso da clown pre-grimaldiano. Nato nel 1963 per una serie di tre spot pubblicitari, dal talento di Willard Scott, già parte del cast del Bozo’s Circus, nella sua versione originaria indossa una tuta a righe sottili con fusciacca gialla in vita, che ricorda per tinte e trama la maschera di Giangurgolo.

Il Ronald originario

La caratterizzazione iniziale, volta al contesto di nascita del personaggio, si compone inoltre di due vassoi apparecchiati, il primo posto all’altezza della vita e l’altro usato come copricapo. Completano il costume un bicchierino di carta a coprire il naso e un colletto candido, simile a un tovagliolo. Il trucco appartiene all’ambito dell’iconografia dell’augusto.
Durante la parata per il Giorno del Ringraziamento, a Chicago, il 25 novembre 1966, debutta un Ronald Mcdonald molto simile a quello che ha attraversato il primo decennio del XXI secolo – ad eccezione delle enormi tasche porta-patatine fritte e della larghezza delle bande rosse, modifiche effettuate nel 1998 – frutto del lavoro di restyling a opera di Micheal Polakov, noto anche come clown Coco del Greatest Show on Earth di Ringling Bros and Barnum & Baley.

Bianco e augusto in una sola icona.

La nuova versione, che attraversa mezzo secolo, è la fusione della dicotomia bianco-augusto: Ronald Mcdonald, con la faccia truccata di (e da) bianco, indossa guanti e tuta giallo canarino – ispirata a un manichino visto in un negozio di vestiti da signora – con maniche e calze a strisce orizzontali bianco-rosse, le stesse già presenti in alcune maschere della Commedia dell’Arte, come Meneghino e Fagiolino.
Nel 1974 nasce la Ronald Mcdonald House Charities, attività che si occupa della realizzazione di residenze temporanee per le famiglie dei bambini lungodegenti.
In Cina, dove la tradizione clownesca è legata soprattutto alla maschera di Chou del Teatro dell’Opera di Beijing, Ronald McDonald è chiamato zio McDonald (in mandarino Mak Dong Lou Suk-Suk), mentre in Thailandia, le sue statue lo raffigurano nella posa wai, tradizionale gesto thai di benvenuto a mani giunte.
La stessa cosa avviene in parte in India, dove a fianco alla posizione del namasté, nella statuaria, permangono le rappresentazioni occidentali di Ronald in panchina o in piedi nell’atto di salutare.
Protagonista di una serie animata, The Wacky Adventures of Ronald McDonald, e di Ronald Mcdonald in Magicl World, un videogioco sviluppato da Sega e distribuito in Giappone, Ronald Mcdonald è diventato, durante quasi mezzo secolo, un’icona pop. Appare nelle opere di artisti come Ron English e Banksy. Basta digitare il suo nome in un motore di ricerca qualsiasi, selezionare il filtro immagini, per trovarsi di fronte a una serie sterminata di fan art e, ogni anno, sue statue sono oggetto di vergognosi atti di vandalismo. Nel racconto Westard the Course of the Empire Takes Its Way di David Foster Wallace (Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso, traduzione di Martina Testa, Roma, Minimum Fax, 2001), omaggio e cover del barthiano Lost in the Funhouse, DeHaven Steelritter è un ragazzo che impersona il clown dai capelli rossi durante un viaggio verso un raduno di ex attori di spot pubblicitari.
Ronald Mcdonald è il clown postmoderno, che oltrepassa la propria funzione originale, innescando una serie di processi creativi diffusi e intermediali. Portando l’iconografia circense nello spazio aperto del mondo.
Agnese Cavaleri

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