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Lo Spettacolo Viaggiante: identità e assurdità di uno scempio da scongiurare

Siamo uomini di spettacolo a 360 gradi e amanti del nostro lavoro, che riteniamo orgogliosamente una forma di alta Arte, impegnati nel contempo a difendere luminose tradizioni e scenari futuri diversi e migliori per le generazioni che avanzano.
In trincea h24 a sostenere le ragioni del circo classico, ci concediamo oggi una, solo superficialmente apparente, digressione di fronte a rumors ad ascoltare i quali lo Spettacolo Viaggiante si appresterebbe ad essere, inaudita propria parte, cancellato dal contesto delle attività storicamente nello spettacolo ricomprese, per trovare dimora – melius ricovero – nell’alveo dello sviluppo economico, un contesto cioè, nel quale arte e più in generale cultura, latitano tout court.
La circostanza, vista con l’occhio sufficientemente coinvolto ma non in posizione di prima linea, appare nel contempo sconcertante ed eufemistica. Ricordando il brocardo latino in medio stat virtus, cercheremo di dire umilmente, ma chiaramente, la nostra all’insegna della verità e della chiarezza.

L’articolato universo delle attività dello Spettacolo Viaggiante ha vissuto una plurisecolare storia scrutando la quale in un contesto di costante, talvolta frenetica, quasi quotidiana ricerca della novità, possono essere sinteticamente individuate tre distinte, diverse e successive fasi storiche.

La prima può essere correttamente definita quella della fiera o della piazza universale. Aveva carattere di vocazione itinerante, e riscontrava una commistione di spettacoli popolari e di attrezzature meccaniche rudimentali. Ha costituito una fucina inesauribile di nuove forme d’arte e, mi si conceda il termine, di sviluppo tecnologico primordiale. Ogni vero romano custodisce nel proprio bagaglio di ricordi il mito di Piazza Guglielmo Pepe all’Esquilino, in quella vasta area dove don Peppe Jovinelli edificò l’omonimo teatro, tempio dell’avanspettacolo e del teatro di rivista e varietà, immortalato sublimamente da Federico Fellini nell’indimenticabile “Roma”. Antichi mestieri, intesi come giostre e baracconi, padiglioni di imbonitori e di ciarlatani, accanto ad attrazioni quali piccole ruote panoramiche e piste, nonché le prime sperimentali proiezioni del cinématographe Lumière, e persino Buffalo Bill, si sono avvicendati nelle loro esibizioni in questo sito. Memorabile, quasi immortale, resta, con la Baracca dei Fenomeni, l’omaggio di Ettore Petrolini che ivi era nato, artisticamente, a questa piazza.

Dirò in chiusura, “a volte ritornano”. Volando rapidamente sopra il tempo approdiamo alla seconda fase, da definirsi in buona sostanza quella del Luna Park, non senza avere prima esemplarmente ricordato che ancora oggi una delle più prestigiose organizzazioni sindacali di esercenti dello Spettacolo Viaggiante francese, si chiama Snif (Syndicat National des Industriels Forains) e cioè Sindacato Nazionale degli Imprenditori della Fiera.
In detto lungo ed imprescindibile periodo, databile almeno dalla fine del secondo conflitto mondiale agli albori degli anni 90, lo Spettacolo Viaggiante mentre dismette via via le esibizioni che vedono l’esercente artista protagonista – ricordo a mo’ di esempio globo e muro della morte, padiglione di illusioni o di scherzo, introdotte al pubblico dall’insostituibile ruolo dell’imbonitore – lo Spettacolo Viaggiante realizza nel contempo un campionario quasi illimitato di piccole, medie e grandi attrazioni, diventa cioè Luna Park e fondamentalmente spettacolo di macchina, locuzione forse stravagante ma che sinteticamente fotografa la doppia anima del suo prodotto meccanico, poi elettronico e da ultimo virtuale ma tuttavia diretto imprescindibilmente dal cassiere che spesso è anche manovratore, che è anche imbonitore e quindi artista.

E riprendendo il nostro dinamico veloce volo, perveniamo da ultimo alla realtà oggi sotto i nostri occhi. Per certi versi un ritorno all’antico. I parchi di divertimento nella realtà attuale e soprattutto nelle iniziative imprenditoriali più considerevoli da un punto di vista economico-finanziario, sono oggi città spettacolo o, per usare una divertente similitudine gastronomica, un fritto misto all’italiana. Sono cioè contenitori all’interno dei quali, un po’ come un tempo a Roma in piazza Guglielmo Pepe, si offrono al pubblico tutti gli spettacoli: cinema, nelle sue estreme avanguardie tecnologiche, teatro, musica, danza, circo, teatro e arte di strada e chi più ne ha più ne metta, accanto ad attrezzature sempre più sofisticate, tralasciando – in quanto pur imprescindibile ma fuori tema – strutture di ristorazione e di ricezione alberghiera.
Sorge in chiusura un naturale, elementare quesito, che dal punto di vista di un modesto ma indiscutibile operatore dello spettacolo popolare, appare oltre i limiti del fantastico sfrenato o più tecnicamente dell’ipotesi di terzo tipo: può la massima espressione di concentrazione di ogni spettacolo, il fritto misto all’italiana, essere statualmente espropriato della propria anima?

Antonio Buccioni

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