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La doppia vita dei circensi

Gianluigi Di Napoli con David Larible.


Davanti all’obiettivo di Gianluigi di Napoli (Apulia 1962) hanno posato modelle e artisti, gente del mondo della musica e non. Posato in realtà non è un termine che esaurisce appieno il rapporto tradizionale fotografo-soggetto. E’ vero, una modella posa sicuramente per un servizio di moda, ma non è difficile cogliere come in immagini che ritraggono celebrità del mondo dello spettacolo manchi completamente quell’aura di artificialità che caratterizzerebbe altrimenti una foto bella, ma sterile, priva cioè di quell’alchimia che il fotografo deve saper favorire e creare.
Gianluigi di Napoli, appena intrapresi gli studi di architettura, scopre la strada della fotografia, che non abbandona più. Il suo ricco portfolio vanta fotografie di moda, di spettacolo, musicali soprattutto. Poi un giorno incontrò anche il circo, e da quell’incontro sono scaturiti dei lavori di notevole ricercatezza: Circus Life, una serie di scatti in bianco e nero realizzati al di là della pista del Circo Medrano, un backstage come molti immaginano o vorrebbero fare ma che pochi saprebbero guardare e rendere con altrettanta profondità; e A Poet In Action, una monografia per immagini dedicata interamente a David Larible.
Giusto o sbagliato che sia, ogni fotografo ha il suo modo di lavorare. Di Napoli ne ha sicuramente uno vincente dal momento che si coglie la naturalezza di chi sta davanti all’obbiettivo.

Circus Life. Leslie Casartelli durante le prove.


Come si approccia al soggetto che ha di fronte?
Lo spiegherò con un aneddoto: un giorno Francesco De Gregori, mentre lavoravo alle foto del tour che sta portando in giro con Lucio Dalla mi disse: “Sai Gianluigi, devo dire che nonostante io detesti profondamente di essere fotografato, con te capita una cosa veramente singolare; mentre stiamo parlando, di colpo scompari, per riapparire dopo un po’ con le tue foto straordinarie. Hai il dono dell’invisibilità e questo per un fotografo equivale alla voce per un cantante, cioè tutto!”
Oltre ad essere uno dei più bei complimenti ricevuti nella mia carriera penso che rifletta pienamente il mio intento nei confronti del soggetto.
Come ha scelto di intraprendere la strada della ritrattistica, forma fotografica in cui si ha sempre a che fare con qualcun altro?
Ho iniziato a fotografare raccontando storie di gente, poi per un lungo periodo ho evitato il contatto con soggetti umani fino al momento in cui una serie di combinazioni mi hanno portato a cercare il contatto con le persone del Circo Medrano (nel 2002 ndr).

Circus Life


Da dove viene questa spinta a entrare sotto il tendone del circo?
A spingermi era la voglia di conoscere e raccontare una categoria di persone che mi ha sempre affascinato per la bellezza, l’apparente invulnerabilità sulla pista e la fragilità della quotidianità. Il circo è uno spettacolo carico di simboli molto forti che riguardano nostri aspetti primordiali e paure più ancestrali. Si può dire che il contatto con chi si assume la responsabilità di rappresentare tutto questo abbia avuto una specie di funzione catalizzatrice per alcuni miei punti di vista sulla condizione umana.
Sembra quasi che sui fotografi (e non solo) venga esercitata più attrazione dal backstage circense che non dallo spettacolo vero e proprio. Secondo lei perché?
Non so cosa attiri gli altri fotografi nel backstage, forse la ricerca di qualcosa di diverso e non raccontato dallo spettacolo. Per quanto mi riguarda la mia attenzione era diretta, più che al backstage, alle persone che davano vita allo spettacolo. Ero sostanzialmente teso alla ricerca del momento in cui il fragile uomo di viaggio si trasforma in eroe della pista. Mi chiedevo continuamente cosa della polvere e del freddo da cui provenivano ogni sera sopravvivesse sulla pista e, viceversa, cosa della pista fosse in grado di seguirli anche nelle loro carovane.

Circus Life: Steve.


E’ stato difficile farsi accettare all’interno del mondo del Medrano?
Quando ho fatto le foto ricordo che nessuno era disposto a capire il fatto che a me interessassero le loro vite più dello spettacolo; talvolta sentivo che la grande ospitalità di cui ho goduto con loro era messa alla prova dalle mie richieste, che spesso risultavano piuttosto incomprensibili. Un grande aiuto l’ho ricevuto da Davio Casartelli che ha intuito con sensibilità lo spirito che mi muoveva e mi è stato complice aprendomi porte altrimenti decisamente chiuse. Comunque anche con loro la mia maggiore preoccupazione era di essere non invasivo e nello stesso tempo riuscire a trovarmi ovunque succedesse qualcosa da raccontare. Era molto inebriante la sensazione di essere in sintonia con qualcosa di così grande come uno spettacolo di un grande circo.
L’altro suo lavoro sul circo ha come protagonista il clown dei clown, David Larible. Come è nata l’idea di un progetto a lui dedicato?
Per me è stata la normale prosecuzione del primo lavoro. David aveva scritto la prefazione di Circus Life e conoscendoci siamo risultati vicendevolmente simpatici. Quasi subito ho pensato che poteva essere interessante fare qualcosa su di lui, e ho immaginato un linguaggio totalmente diverso da quello usato nel libro sul Medrano. Se per raccontare l’umanità della gente del circo nel primo libro sono ricorso alla capacità di sintesi del bianco e nero, con David mi era da subito evidente che avrei voluto esprimere soprattutto la sua fisicità in modo realistico con il colore. L’idea era di raccontare un personaggio per definizione poetico come il clown esprimendo contemporaneamente anche tutta la poesia della sua umana fisicità, a volte apparentemente antitetica al personaggio.
Com’è stato il suo rapporto con David?
Vario, spesso divertente, talvolta di profonda amicizia, ma credo che alla base ci sia una stima reciproca molto forte. Credo che ognuno di noi riconosca nell’altro la professionalità, la grande passione che mettiamo nel nostro lavoro e la voglia di dare sempre il massimo senza risparmiarsi.
Qualche aneddoto che ricorda con particolare piacere a proposito di qualche foto di circo che ha scattato?
Ne ho vissuti tanti. Uno simpatico accadde quando con David Larible facemmo le foto in riva all’oceano. Sono foto in cui lui è truccato e ad un certo punto, verso la fine, gli chiesi di nuotare. Come ultimo scatto dello shooting facemmo la foto in cui era seduto al volante della sua auto, con l’accappatoio indosso e la faccia ancora truccata. Subito dopo decidemmo di partire per tornare a Houston e lui guidò così come si trovava. Mentre, intorno alle 10 del mattino, eravamo nel traffico della città, ci si affiancò un’auto tutta nera con delle croci dipinte un po’ dappertutto, guidata da una ragazza vestita completamente di nero, gli occhi truccati di nero e coi capelli ritti (neri). David, che indossava ancora solo l’accappatoio bianco e aveva la faccia truccata da clown, la guardò e totalmente serio e soprappensiero mi disse: “Certo Gianluigi che ce n’è di gente strana in giro di prima mattina, no?”
Parlando di fotografia in generale: rispetto al momento in cui ha iniziato a fare i primi passi come sono cambiate le cose?
Una grandissima rivoluzione la stiamo vivendo col digitale che ha fatto dei passi enormi in pochissimo tempo. Questo ha regalato al fotografo il grande potere di controllare e manipolare il processo fotografico dalla ripresa alla stampa. Prima del digitale la fotografia aveva un mistero maggiore, dal momento dello scatto alla visione dei risultati passava del tempo e in quel tempo poteva succedere di tutto, in ogni caso quasi sicuramente era impossibile ripetere lo scatto se qualcosa non andava per il verso giusto. Per esempio le foto negli Stati Uniti del libro di David sono state realizzate in pellicola ed ho visto i risultati solo una volta rientrato in Italia, quindi nella assoluta impossibilità di ripetere eventuali scatti sbagliati. Questa era una cosa comunissima, anzi l’unico modo di fotografare, anni fa. Per contro alcune categorie di fotografi, quelli orientati ai lavori di documentazione, sono state completamente cancellate. Non c’è più il fotografo che viene chiamato solo perché è capace di “far venire bene le foto” perché questa possibilità è ormai alla portata di tutti. Una volta si chiamava il fotografo per documentare i compleanni, ora questo è impensabile.
C’è una grande offerta di scuole e corsi mentre prima la fotografia era un lavoro quasi come quello dei circensi, si tramandava di padre in figlio o comunque attraverso percorsi non sempre facilissimi. Tutto questo è affascinante, ma il rischio di una banalizzazione generale del concetto di fotografia è più che mai in agguato.
Le sue fonti di ispirazione quali sono?
Sono varie: non m’ispira affatto ciò che è dichiaratamente bello o facile. Sono ispirato da tutto quello che può insegnarmi o darmi la possibilità di avvicinare qualcosa d’autentico, di vivo ed è in questo che trovo grande interesse e bellezza. Mi attraggono le persone con una interiorità complessa, con un ritmo interiore da scoprire e a cui sintonizzare il mio.
Stefania Ciocca

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