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Il Professore Attilio Martelli o della grande nevicata, Pierpicconi 18…

Luca Morelli, l’autore di Il Professore Attilio Martelli o della grande nevicata, Pierpicconi 18…, è attore teatrale ed autore. Scrive e produce i suoi spettacoli e tra le ultime produzioni teatrali si ricordano “Zampanò ed altre storie”, “Angelo, un idealista” e “Bravo pour le clown”.
E’ anche autore della raccolta di racconti edita dalla Arduino Sacco “Scarabocchi in DO maggiore” e regista ed ideatore del documentario sul mondo del circo italiano “All’ombra di una carovana”. Negli ultimi anni è presidente dell’associazione culturale Teatro Zampanò.
I racconti già pubblicati relativi al concorso Letteralmente Circo si possono leggere qui e tutti i diciotto pervenuti saranno online sul nostro sito.

Il Professore Attilio Martelli o della grande nevicata, Pierpicconi 18…

Una silente, interminabile distesa di neve bianca copriva completamente le strade di Pierpicconi.

Da due giorni la neve cadeva ininterrotta sul piccolo paese arroccato sulle montagne e da tre il cielo non lasciava scorgere nemmeno l’ombra di un sole ristoratore. Non appena era iniziata quella nevicata che sarebbe passata alla storia o almeno, alla leggenda di quel luogo con il nome di “il grande Bianco”, Attilio Martelli, professore di chimica nella vicina scuola intitolata al suo bisnonno Artemio Martelli, disse: “Un circo? Lo sentite anche voi? Erano anni che non se ne vedeva uno a Pierpicconi”

Da quando il Professor Martelli docente di chimica e saccente di filosofia aveva pronunciato quella frase, erano passati due giorni, la neve non aveva accennato a smettere di cadere e del circo così lungamente aspettato non si era vista nemmeno l’ombra.

“Un circo? Ma cosa stai dicendo… te lo sarai mica immaginato?”

“Immaginato un corno! L’ho sentito come adesso sento le tue fandonie razza di screanzato impertinente e se dico che non mi sbaglio allora non mi sbaglio!”

Attilio Martelli aveva ereditato più di una cosa dal bisnonno Artemio.

In primo luogo il cognome che faceva bella mostra di sé anche all’ingresso della scuola dove lavorava, un lavoro nella suddetta struttura e in ultimo posto ma da non trascurare, un carattere duro e spigoloso come le montagne che circondavano le case di Pierpicconi.

A parlare e ad accendere la bile del vecchio professore era stato Walter Martelli, suo nipote. Quando era nato, lui si era opposto con tutte le sue forze perché i genitori non mettessero quel nome strambo a quel frutto di Dio ma loro, i genitori, non avevano voluto sentire ragioni e così ecco che suo nipote si chiamava Walter e non Adalgiso, nome che per Attilio era più che indicato per quel piccolo pargolo.

Tra il vecchio Martelli ed il giovane Walter, suo nipote, c’era un rapporto idilliaco e non bastava quello smacco all’anagrafe per scalfire l’affetto che i due provavano l’uno per l’altro.

Attilio era di bassa statura, ingobbito dagli anni e dagli eventi e pieno di rughe. Un rozzo naso a patata lo precedeva in ogni sua visita e delle piccole vene rosse tracciavano un sentiero su tutto il suo volto. Walter invece era alto e pieno di salute, con i capelli neri di un nero corvino ed una mascella presente che gli conferiva un aspetto forte ed elegante. Più di una volta il nonno si fermava ad osservarlo poi, spostava lo sguardo su suo figlio, il padre del ragazzo, e sempre sbottava nella sua voce roca da fumatore di pipa incallito: “Come sarà uscito un bel figliuolo così da te non me lo riesco proprio a spiegare”

Nevicava ormai ininterrottamente da tre giorni e le temperature erano cadute in un baratro dal quale difficilmente si sarebbero rialzate. Le tubature che portavano l’acqua alle abitazioni erano ghiacciate con il risultato che dai rubinetti sgorgava solo un insolente sbuffo di aria asciutta. La neve cadeva fitta ed insistente e rendeva difficile portare lo sguardo oltre i propri passi.

“Davvero un tempaccio da lupi”

“Già, proprio da lupi nonno”

Walter ed Attilio si trovavano, forse per la prima volta, d’accordo così sembrò strano al nipote vedere la stanca figura del nonno avvicinarsi al porta abiti, prendere il cappotto, indossarlo e dirigersi verso la porta di uscita.

“Ma dove stai andando?”

“Ma benedetto figliuolo possibile che tu faccia fatica a comprendere anche le cose più elementari… vado al circo dove altro potrei andare con un tempo del genere…” poi, un rapido sguardo ed una chiusa quasi perfetta “…sei tutto tuo padre”.

Attilio Martelli di anni novantaquattro uscì quel giorno dalla sua abitazione per non farci mai più ritorno ma questo in fondo, suo nipote Walter, lo sapeva dal momento in cui il nonno gli aveva svelato la sua destinazione.

“Davvero un tempaccio da lupi e guarda come viene giù bene… dunque il circo… da che diavolo di parte…”

Il Professor Martelli di anni novantaquattro faticava alle volte nel mettere ordine nella sua confusa testa da anziano ma gli bastava concentrarsi, riordinare appunto le idee ed ecco che la luce di una illuminazione giungeva in suo soccorso.

“…diavolo di un diavolo da questa parte, dove pensavo di andare altrimenti?”

I piedi protetti dalle grosse scarpe affondavano nella neve gelata. Il vento soffiava creando mulinelli di neve che si andavano a stampare sul volto del professore. Tutto intorno il paese era vuoto ed una distesa di bianco rendeva inarrivabili le distanze.

Come fosse difficile lanciare lo sguardo oltre i propri passi lo abbiamo detto e così, non stupirà il lettore ritrovare il vecchio Attilio Martelli fermo in una distesa bianca con il naso verso il cielo intento a leggere una scritta luminosa che cercava di nascondersi al di là della fitta nevicata. Le lampadine che squarciavano il pallore totale che si registrava tutto intorno erano di diversi colori, alcune rosse, altre verdi, blu ed anche gialle. Tutte insieme, composte in un determinato ordine andavano a formare una scritta ad arco che adesso si faceva fatica a decifrare. Non tutte le luci erano accese, si sarebbe potuto dire che ad alcune mancava la forza vitale per sprigionare il proprio fascio luminoso e questo rendeva ancora più difficile la lettura di quelle poche parole.

Attilio, sferzato dalla bufera di neve, restava immobile in quella posizione innaturale e si sforzava di capire cosa ci fosse scritto dietro il muro di neve che continuava a cadere insistente. D’un tratto, come spesso gli accadeva, ecco l’illuminazione. Frugò nella tasca del pesante cappotto, si curvò per cercare meglio, ondulò per spingere la mano dove pensava non potesse arrivare e finalmente estrasse da quel nascondiglio il suo vecchio paio di occhiali. Li indossò sul naso, li pulì come meglio poté e finalmente la scritta risultò chiara ai suoi occhi provati:

GRAN CIRCO MORELLI

“Gran… circo… Morelli… ci siamo diavolo di un diavolo, lo avevo detto io, un circo! Ma cosa pensano che sia completamente rimbambito?”

Mosse i passi verso quella scritta di benvenuto e finalmente si trovò faccia a faccia con l’enorme chapiteaux del complesso circense. Si guardò attorno il tempo necessario per potersi orientare e trovò la biglietteria. Il carrozzone che fungeva a tale scopo si trovava sul lato sinistro dell’ingresso, gli si avvicinò, si inerpicò su per la rampa ed arrivò al banco di vendita. Il vetro che lo avrebbe dovuto separare dal venditore, sotto quell’inclemente temperatura era completamente appannato. Il professor Martelli allungò una mano e con un lembo della manica disegnò un tondo sulla superficie opaca. Allungò il tozzo corpo per poter sbirciare all’interno di quel locale ma non vi trovò nessuno.

“Che strano, sembra non ci sia nessuno…” si guardò prima a destra e dopo a sinistra ma né da una parte né dall’altra sembrava ci fosse qualcuno.

“VORREI VEDERE LO SPETTACOLO… C’E’ NESSUNO?”

La sua voce si perse nel biancore circostante ed il barrito di un elefante si unì a quella sua richiesta.

“Oh bella vedi un po’ che sono arrivato fin qui e non ti vedo nemmeno lo spettacolo… io entro”

Detto fatto.

Scese dalla rampa della biglietteria ed incurante si diresse verso l’ingresso dello chapiteaux. Non appena il suo naso penetrò l’intimità di quella struttura, un po’ distante ma comunque immerso in una coltre di neve bianca, suo nipote Walter, a casa, apriva un vecchio cassetto di legno rancido.

Il bottino, se fosse capitato sotto gli occhi di un bambino dalla curiosità e dalla immaginazione galoppanti, sarebbe stato una vera delusione. All’interno del cassetto, fatta eccezione per un vecchio orologio da taschino ormai fermo ed una penna stilografica, non si trovava nient’altro se non un vecchio quaderno logoro con la copertina di pelle consumata. Su quest’ultima, impressa con un inchiostro nero ed una grafia elegante una data ed un nome strizzarono l’occhio alla curiosità del giovane Walter.

“Pierpicconi, 18.. Gran Circo Morelli”

Non ci volle altro perché il nipote del vecchio Professor Attilio Martelli prendesse in mano quelle pagine e cominciasse a leggere l’elegante scrittura che così finemente le decorava.

“Pierpicconi, 18.. Gran Circo Morelli

Sono il Professor Attilio Martelli, laureato in chimica alla Nobilissima Università Girotti & Rotondetti. Scrivo queste pagine come un memoriale, una traccia che possa alleviare l’oblio del ricordo quando gli anni decideranno di allontanare la mia persona dai magnifici giorni che sto vivendo. Mi trovo bloccato all’interno del Gran Circo Morelli, un piccolo complesso circense che da qualche giorno ci ha regalato l’onore della sua presenza nel nostro piccolo borgo. Sono qui insieme ad altre persone, tutte del pubblico, in compagnia degli artisti di questa carovana viaggiante.

Risparmierò i nomi dei miei compagni di avventura per lasciare lo spazio necessario alla descrizione di quanto è successo.

Nel pomeriggio mi sono recato a vedere lo spettacolo del Gran Circo Morelli (uno spettacolo tutt’altro che modesto), il cielo era limpido e nessuna nube poteva far presagire quanto sarebbe accaduto. Ero seduto al mio posto intento ad ammirare Chef Tony, uno straordinario lanciatore di coltelli quando abbiamo sentito il primo tuono. Ci siamo guardati tutti, sugli spalti, impauriti dal rumore assordante che l’evento aveva provocato. Mai avremmo potuto immaginare che da li a poco si sarebbe rovesciata su di noi e sulla carovana la nevicata che ancora adesso ci costringe all’immobilità all’interno di questo chapiteaux (il nome me lo ha suggerito Carlo Sciapiro, il presentatore di pista. E’ così che si chiama quello che noi volgarmente chiamiamo tendone).”

Walter rialzò gli occhi da quella prima pagina e finalmente tornò a respirare.

Aveva letto quelle parole d’un fiato, avido, affamato di quella storia. Buttò uno sguardo fuori la finestra e vide che la neve continuava a cadere fitta dal cielo. Un nodo in gola gli strinse le parole.

Era una leggera, neonata nostalgia verso il nonno.

Chissà se lo avrebbe mai rivisto.

Riaprì il quaderno e notò che alcune pagine erano strappate, abbandonate all’incuria del tempo.

Poco male, quello che voleva sapere era tutto scritto nelle poche righe che lo separavano dall’ultima pagina. Fece un sospiro e tornò a leggere.

Una nuova data…

“Pierpicconi 18.. Gran Circo Morelli

Ancora una volta è venuta a farmi visita. Come è bella. Credo di essermene innamorato. Devo ammettere che è anche un’ottima studentessa. Impegna le sue giornate nello studio e questo è un atteggiamento lodevole da parte sua. Dice di non potersi allenare e nell’ozio si annoia. Qualche giorno fa è venuta nella mia carovana. Non è corretto dire mia. E’ di Otto il clown, si è gentilmente offerto di offrirmi un tetto in questi giorni di sventura. Anche loro come noi si trovano bloccati da questa nevicata eccezionale. Non possono far camminare i loro mezzi su queste strade scivolose e così uomini ed animali sono fermi qui a Pierpicconi.

Tanto meglio!

Oggi auguro a loro ma principalmente a me stesso di non ripartire mai e poi mai. Mai più! Che sia questo l’amore, il vero amore? Devo andare con ordine, non lasciarmi trasportare dall’emozione delle mie intenzioni. Devo riuscire a seguire un filo logico in questi miei ricordi altrimenti a nulla servirà questo sforzo. Scrivo nelle ore notturne, mentre tutti dormono e la neve si posa silenziosa su tutti noi. Mi ha detto che dalla finestra della mia carovana si vede il lume acceso fino a notte tarda.

Mi ha anche chiesto a cosa mi servisse. Formule, noiose formule chimiche le ho mentito. Le ho domandato se il mio lume infastidiva in qualche modo il suo sonno ma mi ha risposto di no. Meglio così, di giorno non riesco mai a scrivere. Siamo tutti indaffarati. Stiamo cercando di ricambiare questa ospitalità dando una mano a tutta la carovana. Oggi ho conosciuto Riccardo, il leone della compagnia. Mi ha ruggito contro ma Sergio, il domatore, mi ha assicurato che lo ha fatto in segno di affetto. Mi è convenuto credergli, un tale spavento non penso lo proverò per tutto il resto della mia vita. Stavo scrivendo della sua visita ed ancora una volta mi sono lasciato trasportare dalle mie stesse parole. Sono così emozionato! E’ una gioia poter condividere le mie giornate rinchiuso al Gran Circo Morelli. Mi sento come un bambino su di una giostra piena di musica ed odore di zucchero filato. La mia prigionia non mi sembra tale, ho degli ottimi compagni di avventura.

Lei!

Attento Professor Martelli, attento a non divagare. Avete ragione, lei, la sua visita. La sua sola vista rischiara queste giornate lattiginose. La sua voce, il suo sguardo. Me ne sarò sicuramente innamorato accidenti a me. Spesso durante il giorno si affaccia nella carovana di Otto dove dimoro.

Fa capolino con la sua testa delicata e chiede il permesso di entrare. Non che glielo neghi mai. Nel momento in cui sto scrivendo è appena andata via. Viene a chiedermi di farle lezione sulle discipline più disparate. La mia istruzione universitaria mi permette di dissertare sui più svariati argomenti ed io accetto sempre. Oggi per esempio abbiamo trattato la storia del nostro Paese. Che occhi vivaci, che sguardo attento aveva nel seguire tutte le mie parole, non ne faceva sfuggire una e là dove le sembrava di non aver afferrato con la sua voce da usignolo mi chiedeva di ripetere.

Non tengo lezioni soltanto con lei è ovvio ma in sua presenza tutto mi sembra più dolce. Ho parlato della sua attenzione verso la storia ma è nei riguardi della mia materia, la chimica, che ella mostra tutto il suo vivo interesse.

Mi ha riportato proprio oggi, tra una nozione di storia ed un’altra, la formula bruta perfetta, senza nessun errore del glucosio. La copio così come me l’ha scritta lei su questo foglio che conserverò gelosamente: C6H12O6 .

L’amo, sento d’amarla e mai come altro giorno al mondo sento di amare questa formula che mi riporta alla memoria la sua dolce e fanciullesca voce.

Il glucosio… C6H12O6 .”

“Attilio…”

La sua voce si era conservata limpida e cristallina. Il professor Martelli non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che alle sue spalle si trovava lei. Il vecchio circo al suo interno presentava il conto degli anni passati. In alcuni punti gocciolava insistentemente sotto il peso della neve. La pista vuota ed i posti orfani restituivano un’atmosfera di abbandono che negli occhi del vecchio si tramutò in un leggero brivido che gli percorse tutta la schiena.

Si voltò lentamente avvolto ancora nel pesante cappotto. Era emozionato. Da quanti anni aveva aspettato quel giorno. Meglio sarebbe dire da quanto tempo lo aveva sognato. Era un chimico, una persona di scienza e non credeva assolutamente alle fandonie della letteratura. In cuor suo non aveva più nessuna speranza di rincontrarla ma nell’animo suo quella speranza non era mai morta tramutatasi in un vivido sogno.

“Attilio…”

“Zaira… tu…”

“Si Attilio, sono proprio io…”

Dietro di loro un’ombra, poi un’altra ed un’altra ancora.

Questo accadeva proprio nel momento in cui Walter, il nipote del nostro Professor Attilio Martelli, leggeva con un piccolo sorriso sulle labbra le ultime parole impresse in quel quaderno ingiallito dal tempo e dall’incuria.

“…l’amo, sento d’amarla e mai come altro giorno al mondo sento di amare questa formula che mi riporta alla memoria la sua dolce e fanciullesca voce.

Il glucosio… C6H12O6 ”.

Fuori la neve cadeva con incessante tranquillità. Un silenzio innaturale governava quelle ore del piccolo paese di Pierpicconi. Walter si trovò a guardare nuovamente fuori il vetro della finestra appannata dal freddo. Un panorama bianco gli si stampò nei giovani occhi. Non lo ammetteva a se stesso ma sperava in quello sguardo di incrociare la sagoma del nonno di ritorno dal circo. Il groppo in gola si fece più insistente e la vista gli si appannò. Cercò di asciugare gli occhi dalle lacrime che avevano deciso di nascere nel suo sguardo, sopportò un singhiozzo che lo fece sobbalzare e riaprì il vecchio quaderno che aveva trovato nel cassetto.

“Pierpicconi 18.., Gran Circo Morelli

finalmente trovo il coraggio di pronunciare il suo nome. Come è dolce il suono di questa parola nella sua melodiosa voce e quanto è colma d’amore quando la sento nascere dalle mie labbra. Ne ignoro il motivo ma solo adesso, dopo che i giorni si sono susseguiti ad altri giorni, ho trovato il coraggio di palesare a me stesso il nome di lei.

Zaira!

Quale emozione straordinaria sento crescere nel mio cuore ogni volta che queste poche lettere si compongono in fila per formare il nome che ormai per me è sinonimo di amore. Continuano le nostre lezioni, anche più frequentemente. La neve ormai cade fitta sulle nostre teste da diversi giorni e le ore sono lunghe ed interminabili. La notte, mentre scrivo, mi fa compagnia il barrito di un vecchio elefante. Annibale si chiama. Sembra mi voglia far registrare la sua presenza perché anche la sua mole non vada persa nel mare della dimenticanza. Zaira mi ha raccontato che lui, Annibale, è la vera mascotte del Gran Circo Morelli. Lo è diventato quando scoppiò il piccolo incendio nella carovana del mangiatore di spade. Stava provando un nuovo numero, un’esibizione con delle spade infuocate ed ecco che la tragedia lo stava per sfiorare. Quella volta fu Annibale a spegnere l’incendio spruzzando acqua dalla sua proboscide.

Ho riso a questo racconto, le ho detto che non ci credevo. Per un attimo mi è sembrata offesa, mi ha mostrato un broncio di una tale grazia che ho pensato che mi sarei disciolto in quel momento. Poi, è tornata a ridere, bella come mai l’avevo vista prima d’ora. Adesso credo a quel racconto, ne sono sicuro. Non so più da quanti giorni siamo bloccati dalla neve. Ho perso il conto o probabilmente non l’ho mai voluto tenere. Potrei andare a rileggere le pagine che ho scritto fino adesso, ho mantenuto una certa costanza e verificandole potrei risalire ad un numero ma non ne ho voglia. Il mio spirito scientifico si sta affievolendo sotto il calore dell’amore che provo per la mia Zaira.

Non provo alcun interesse per i giorni passati fra queste carovane ma mi angoscia il pensiero della loro fine. La neve si scioglierà mai?

Il Gran Circo Morelli alla fine ripartirà?

Non voglio pensarci, voglio nascondere alla mia coscienza questa infausta probabilità. Oggi pomeriggio ho confessato a lei che se mai la neve dovesse liberarci da questa prigionia io sarei disposto a partire con loro. Non mi ha risposto ma ha riso, un sorriso bellissimo.

Lascerei queste strade che mi hanno visto crescere per seguire l’avventura del mio amore. Potrei occuparmi di Annibale, continuare ad insegnare e nel frattempo curare gli animali del Gran Circo Morelli. Me ne sento parte ormai, indissolubilmente sento di essere legato a questa carovana…

…ho svegliato Otto! Dannato me, senza accorgermene ho riletto ad alta voce le ultime parole che ho scritto, la mia confessione d’amore verso Zaira. Che cara persona Otto, il clown, è rimasto in silenzio ad ascoltare quanto avevo scritto, seduto nell’ombra del suo giaciglio. Solo alla fine si è alzato per appoggiare la sua dolce mano sulla mia spalla ricurva sul foglio.

“Io sono soltanto un clown e forse le mie parole non saranno mai prese per vere ma conosco più di ogni altro la tua Zaira”

E’ vero!

Me lo ha raccontato una volta Zaira stessa. Tra lei ed il clown esiste un rapporto bellissimo. Lui è molto più anziano di lei e tutto quello che la mia amata conosce dell’arte del circo lo deve al vecchio Otto. Mi ha poggiato la mano sulla spalla ed è rimasto a guardarmi con il suo sguardo di eterno fanciullo. Mi sono imbarazzato. Mai avrei pensato di confessare quel mio segreto a nessuno all’interno del circo. Adesso Otto è custode delle mie parole.

“…me lo ha confessato proprio l’altra notte, qui fuori, guardando il lume che si vede dalla finestrella della carovana. Attilio, anche lei vi ama!”

Come nella perfezione di una formula chimica, ci amiamo!

Il mio cuore non smette di battere. Sono andata a trovarla questa notte stessa. Le ho dichiarato il mio amore, senza freni, senza paure. Per un momento è restata in silenzio a guardarmi. Finalmente ha sorriso di quel sorriso che per me è metafora di tutti gli amori. Ci siamo amati, con passione, ci siamo amati come mai potremmo più amarci in vita nostra. Spero tanto che questa neve non smetta di cadere sulle nostre teste.”

…e poi un’altra ombra ancora, la più grande, seguita da uno stanco barrito.

“Annibale!”

La voce del vecchio Professor Attilio Martelli si confondeva fra le lacrime dell’emozione. Davanti al suo sguardo, in tutta la sua senile bellezza, Zaira lo osservava senza parlare.

“Voi, siete tutti… siete qui”

Sergio, Otto, il Signor Sciapiro e Zaira facevano ora un capannello attorno alla vecchia figura di Attilio. Il quadro non era completo. Dal fondo, stancamente, muovendo una zampa dietro l’altra, il vecchio leone Riccardo fece la sua comparsa per andare ad accucciarsi fra le gambe del suo domatore. Attilio si irrigidì, in fondo, non aveva mai imparato a convivere con la paura che quell’animale proiettava sulla sua persona.

“Tranquillo Attilio, Riccardo ormai è vecchio vedi, non ruggisce nemmeno più e poi, ti confesserò un segreto, non ha più nemmeno un dente”

Il vecchio professore sorrise mostrando in risposta la sua dentiera bianca. Zaira lo osservava ancora innamorata.

“Ma perché… dove, perché un giorno ve ne andaste, mi avete lasciato solo per tutti questi anni”

“Non noi Attilio, amore mio…”

Questa volta a rispondere fu Zaira.

La sua voce era bella come quella di un tempo.

“…noi siamo sempre rimasti qui, sotto questa neve. Ti abbiamo aspettato ma tu non venivi”

“Mi avete aspettato?”

“Si amore mio, si! E non sai quanto dura e lunga è stata la mia attesa. Giorno dopo giorno pensavo a te, alla tua voce, alle tue parole… ma non ti vedevo mai arrivare”

“Ma io non sapevo…”

Zaira sorrise di comprensione.

Il Professor Martelli pensò che era più bella ora di quando l’aveva conosciuta.

“Tu non potevi sapere. Il Gran Circo Morelli ti ha perso subito dopo la nascita di nostro figlio. Adesso siamo nonni non è vero? Come si chiama? Ah si, non dirmelo, Walter… che nome assurdo”

“E’ quello che ho detto anche io”

“Dimmi soltanto una cosa… sei tornato per restare?”

“Si amore mio!”

Il barrito di Annibale sottolineò queste ultime parole.

Walter trovava che il suo nome, in fondo, era veramente buffo.

Aveva chiuso il quaderno e stava piangendo.

Nelle ultime pagine, come epilogo alle confessioni del Professor Attilio Martelli un articolo di giornale era stato incollato maldestramente.

“TRAGEDIA NEL GRAN CIRCO MORELLI”

Questo era il titolo.

Raccontava di un circo rimasto bloccato per mesi interi sotto la grande nevicata che ci fu a Pierpicconi nel 18..

I sopravvissuti furono pochissimi e tra gli artisti del circo, solo un vecchio cammello riuscì a resistere alle basse temperature di quel periodo.

Walter stava piangendo.

Continuava a piangere quando la porta si aprì. Arnoldo Martelli, figlio di Attilio e Zaira entrò precipitosamente all’interno della casa.

“Che tragedia, il nonno… Walter, figlio mio, il nonno… la neve… devo dirti una cosa ma promettimi di essere forte”

Walter in quel momento smise di piangere.

Fissò gli occhi rossi ed umidi del padre e sorrise.

“Il nonno…” disse “…lo so, so già tutto. E’ andato a trovare la nonna ma non state in pensiero, non appena la neve si scioglierà lo vedremo tornare a casa”

Il barrito di un elefante sottolineò nuovamente le ultime parole.

Probabilmente a Pierpicconi, era arrivato un nuovo circo.

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