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Il cardinale innamorato dell’arte del clown

Benedetto XVI ha da poco imposto la berretta cardinalizia ai 22 nuovi principi della Chiesa. Fra questi anche il presidente del Pontificio consiglio dei Migranti, che lo scorso 20 gennaio ci ha concesso una intervista esclusiva a tutto campo, nella quale ha parlato anche “dell’aspetto educativo e salutare dell’arte del clown, e del grande valore pedagogico dell’arte circense, che ha trovato vasta applicazione nell’educazione, nell’ambiente sanitario e nel riadattamento sociale”. La riproponiamo ai nostri lettori.

Il card. Antonio Maria Vegliò

Benedetto XVI ha annunciato che fra i 22 nuovi cardinali, di cui 7 italiani, che nominerà nel concistoro del 18 febbraio, c’è anche S.E. mons. Antonio Maria Vegliò, Pontificio Consiglio della pastorale per i Migranti e gli Itineranti, e la notizia ha riempito di gioia il mondo del circo. Abbiamo chiesto un’intervista al neocardinale e mons. Vegliò ha gentilmente accettato di rispondere alle nostre domande, che spaziano su molti temi. Eccone i contenuti, che vanno dalla questione dei migranti e delle nuove migrazioni ad un bilancio della esperienza a capo del Pontificio consiglio, dalla conoscenza diretta “della grande famiglia del circo e dello spettacolo viaggiante” ad un richiamo energico “alle amministrazioni pubbliche e alle autorità locali a riconoscere l’alto valore socio-culturale del circo e dello spettacolo viaggiante e a difenderlo, contrastando ogni forma di marginalità e di pregiudizio”. I circhi tradizionali devono oggi far fronte – sottolinea mons. Vegliò – “alla politica di Amministrazioni pubbliche che contrastano l’impiego degli animali nello spettacolo, cosa che invece è apprezzata dal pubblico”. Ma il presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i Migranti e gli Itineranti, spiega anche di essere sempre rimasto affascinato dalla figura del clown e ne evidenzia la valenza educativa, e racconta i suoi ricordi legati al circo.
La prima domanda non può che riguardare la bella notizia che abbiamo appreso dal Papa stesso nel giorno dell’Epifania, cioè la sua nomina a cardinale: qual è stata la sua prima reazione e quali nuove responsabilità avverte nei confronti della Chiesa e del mondo?
Come ho già detto in altre interviste, ho accolto questo lieto annuncio con profonda gratitudine, innanzitutto al Signore che mi ha chiamato a essere pastore della Sua Chiesa, che mi sostiene e che ogni giorno mi chiede un maggiore impegno e una più grande disponibilità a servire il suo popolo. In particolare per quelli che per Lui sono i più importanti, mentre agli occhi del mondo sono gli ultimi, e che nel mio caso, in quanto Presidente di questo Pontificio Consiglio, hanno il volto del migrante, del rifugiato, del nomade, del circense e del fierante, del senza fissa dimora, del bambino di strada, e di tutti coloro che vivono nel fenomeno della mobilità umana.
Provo, quindi, un sentimento di viva riconoscenza verso il Santo Padre Benedetto XVI, per la Sua fiducia e la sua chiamata ad essere un collaboratore più stretto. Questo gesto del Papa vuole essere un segno della sua sollecitudine verso le donne e gli uomini coinvolti nella mobilità umana. Vi leggo, pertanto, un riconoscimento alla missione di questo Dicastero.
Dal 2009 lei è a capo del Pontificio Consiglio della pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Pensa che chiamandola nel collegio cardinalizio, il Santo Padre abbia voluto anche sottolineare il fatto che i migranti e gli itineranti sono nel cuore della Chiesa?
In questi tre anni alla guida del Pontificio Consiglio ho avuto molte occasioni per constatare personalmente la premura di Papa Benedetto XVI per tutte le persone che fanno parte della mobilità umana. Il Papa non si lascia sfuggire alcuna occasione per dimostrare la sua attenzione e il suo amore per loro. Tanto nel messaggio per la Giornata Mondiale dei Migranti e dei Rifugiati, come negli altri suoi interventi, troviamo parole di sostegno, di esortazione o in difesa di queste persone. Non è passata inosservata l’Udienza privata che il Santo Padre ha concesso, l’11 giugno scorso, a 2000 rappresentati di etnie Rom, Sinti e altri gruppi zingari, per confermarli nella fede e per comunicare loro l’amore della Chiesa. Le parole del Papa: “Voi siete nel cuore della Chiesa” riassumono perfettamente questo messaggio di comunione.
Quale importanza riveste oggi per la Chiesa il tema delle migrazioni e della nuova evangelizzazione dei migranti?
Il fenomeno migratorio, dice il Papa, ha una grande rilevanza sia per la quantità di persone coinvolte, sia per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, e anche per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale. Secondo i dati disponibili, si parla di circa 200 milioni di migranti, 15 milioni di rifugiati e 27 milioni di sfollati. Le migrazioni sono un’opportunità grande di evangelizzazione, facendo leva sui migranti cristiani come testimoni della fede e del Vangelo. In molti Paesi, dove si osserva un affievolimento della fede e della frequenza religiosa, sono proprio i migranti cristiani che fanno rivivere le Chiese locali.
Ciò che preoccupa è il fatto che spesso coloro che non sono coinvolti in questo fenomeno non sempre sono capaci di cogliere questa opportunità. Perciò il Papa, nel Suo Messaggio di quest’anno, esorta a “risvegliare in ognuno di noi l’entusiasmo e il coraggio che mossero le prime comunità cristiane ad essere intrepide annunciatrici della novità evangelica”. Inoltre il Santo Padre invita a offrire ai migranti il necessario appoggio e adeguata accoglienza, perché anche nel Paese di una cultura e religione diversa possano incontrare Cristo.
In circa tre anni alla presidenza del Pontificio Consiglio della pastorale per i Migranti e gli Itineranti che esperienza ha fatto a contatto con il mondo dei circensi e della gente del viaggio?
Al momento di assumere la guida del Pontificio Consiglio non avevo molta familiarità con la vasta e complessa problematica del mondo dello spettacolo viaggiante e mi sentivo quindi un novizio che muove i primi passi in ambiente nuovo e poco conosciuto. Di grande aiuto e valore indiscutibile sono stati gli incontri con le persone impegnate in questo settore, nonché i congressi promossi dal Dicastero per studiare e approfondire la ricca realtà del circo e della fiera, al fine di offrire una pastorale adeguata.
Cosa ricorda con maggiore gratitudine?
Con particolare soddisfazione e gratitudine ricordo il mio primo incontro con i Direttori nazionali della pastorale dei circensi e dei fieranti, che nel dicembre del 2009 mi hanno dato le prime informazioni, direi tecniche, sulla realtà dello spettacolo viaggiante. Un anno dopo ho avuto l’opportunità di approfondire queste conoscenze nell’Ottavo Congresso Internazionale della pastorale del settore, organizzato dal Dicastero. I partecipanti, tra cui numerosi circensi e fieranti, erano tutte persone esperte nel mondo del circo, della fiera e dei luna park, di cui conoscono i problemi e le esigenze, il particolare ritmo di vita, le attese, il livello spirituale e morale con le sue punte di generosità e di impegno e con i suoi cedimenti. Oltre a temi di attualità ecclesiale, sono stati esaminati anche argomenti concernenti l’identità e la dignità dei circensi e dei fieranti, le difficoltà che incontrano durante i loro spostamenti e l’emarginazione di cui spesso sono vittime. Ricordo bene il clima cordiale e familiare che ha favorito lo scambio di esperienze e ha permesso di vedere come la Chiesa cammini con i circensi e i fieranti e si prodighi per rendere presente Cristo nella loro vita e nella loro realtà. Significativa per l’incontro con il mondo dei circhi è stata, poi, la mia visita al Circo Americano, dove ho assistito allo spettacolo e mi sono intrattenuto poi con il titolare dell’impresa.

Foto Maja Galli

In queste occasioni ho potuto conoscere meglio le condizioni di vita e le attività lavorative della gente dei circhi, delle fiere e dei luna park, le loro preoccupazioni e le aspettative per il futuro. Sono stato introdotto, in un certo senso, a far parte della grande famiglia dello spettacolo viaggiante, ricca di tradizioni culturali, di una straordinaria capacità di ospitalità e di accoglienza e di particolare sensibilità alla diversità culturale e religiosa che caratterizza i suoi componenti. Nei circhi e luna park, infatti, lavorano insieme persone di diverse nazionalità, culture e religioni.
Colgo questa occasione per sottolineare i valori positivi di fratellanza, solidarietà, allegria e accoglienza, di cui i circensi e i fieranti sono testimoni nella nostra società. Ringrazio anche gli Operatori pastorali per il generoso apostolato nell’ambiente dello spettacolo itinerante e a tutti rivolgo il mio invito ad impegnarsi a conoscere, a stimare e ad amare la gente dei circhi e dei luna park, superando i pregiudizi e altre forme di diffidenza e ostilità.
La Chiesa ha parlato di circhi e luna park, come di “cattedrali di fede e tradizione, segno di speranza in un mondo globalizzato”: può spiegarci il significato di queste parole e perché il circo con la sua arte, cultura, tradizione e storia, rappresenti un valore per la Chiesa oltre che una ricchezza socio-culturale per gli uomini del nostro tempo?
Nell’ambito ecclesiale, una cattedrale è il luogo principale di culto liturgico di una diocesi, è il centro spirituale e di trasmissione delle fondamentali verità di fede. Le chiese cattedrali sono anche luoghi di raduno dei fedeli, sotto la guida del Vescovo. Dal punto di vista architettonico sono chiese belle e sontuose, che non di rado incantano i visitatori.
I circhi e i luna park sono stati definiti “cattedrali di fede e di tradizione” perché sono luoghi in cui, al di là delle barriere culturali e delle separazioni linguistiche e religiose, le persone si incontrano e si riconoscono fratelli e sorelle, accettandosi nelle loro diversità.

La celebrazione ecumenica sotto il tendone del Festival di Montecarlo

Il circo, poi, è lo spazio dove i cristiani che vi lavorano sono chiamati a essere testimoni del Vangelo nello spettacolo, nella preghiera, nella vita familiare, nelle difficoltà e nella gioia. In alcune occasioni, poi, come nelle feste di Natale o di Pasqua, i tendoni dei circhi e gli spazi del luna park si trasformano in chiese, ove si celebra la Santa Messa e vengono amministrati i sacramenti. Qualche volta, oltre ai circensi, vi partecipa anche la comunità locale. Forse non tutti sanno che da una decina di anni, nel corso del più grande e famoso Festival Internazionale del Circo nel Principato di Monaco, ha luogo una Celebrazione ecumenica, in cui l’annuncio del Vangelo e la professione di fede si alternano con le performance dei circensi. Lo chapiteau di Fontvieille, cioè il grande tendone del circo di Montecarlo, diviene così una straordinaria “cattedrale”, dalla quale si levano le lodi a Dio, anche attraverso le prestazioni degli artisti circensi che in quel momento si trasformano in una preghiera.
Il Santo Padre Benedetto XVI, come già detto, nei suoi discorsi invita la Chiesa e i cristiani a impegnarsi con responsabilità in una nuova evangelizzazione che richiede rinnovato slancio missionario e nuove forme di annuncio. Gli Operatori pastorali, con cui la Chiesa accompagna il mondo dello spettacolo viaggiante, aiutano e incoraggiano i cristiani dei circhi e dei lunapark a mantenere viva la loro fede e a farsi missionari di Cristo e promotori di quei valori di cui l’uomo ha bisogno per realizzarsi, quali la fraternità, la gratuità, la solidarietà, l’amicizia, la generosità. I circhi e i luna park possono divenire nuovi areopaghi per l’annuncio del Vangelo e la trasmissione della fede.

Foto Stefania Ciocca

Quali pensieri sorgono in lei nel constatare che non sempre ai giorni nostri i circhi e la gente del viaggio trovano accoglienza e rispetto nel loro andare di città in città, anzi a volte si scontrano con tentativi di marginalizzazione che vengono anche dalle amministrazioni pubbliche?
L’ospitalità è la parola d’ordine nel mondo dei circhi e dei luna park e gli Operatori pastorali, che per motivi di servizio e di apostolato entrano in questo ambiente, se ne rendono ben conto. Da parte loro, però, i circensi e i fieranti troppo spesso sperimentano l’amarezza della non accoglienza e si scontrano con la dura realtà dell’incomprensione e del rigetto, dell’insicurezza o della povertà.
Personalmente ho colto varie occasioni per segnalare le sfide e le difficoltà che il circo e il luna park sono costretti ad affrontare oggi e ho indicato anche alcune situazioni in cui si verifica un certo deprezzamento delle attività del circo o viene compromessa la sua identità.
Per venire incontro alle difficoltà di questo ambiente, la Chiesa ritiene necessario investire nella formazione, soprattutto delle giovani generazioni, perché si possa parlare di apertura e di accoglienza anche nei confronti dei Circensi e dei Fieranti. Nell’Istruzione Erga migrantes caritas Christi il Dicastero sollecita tutte le persone di buona volontà a farsi promotori di una cultura di accoglienza che sa apprezzare i valori autenticamente umani degli altri, al di sopra delle difficoltà che la convivenza comporta. L’accoglienza verso i migranti e gli itineranti è un gesto di solidarietà umana e di amore cristiano. Pertanto, il mio messaggio per la II Giornata Mondiale del Circo, del 16 aprile scorso, contiene un appello agli Stati e ai Governi a tutelare, con adeguate norme e leggi, i diritti delle persone dello Spettacolo viaggiante, al fine di considerarle a tutti gli effetti parte integrante della società. Il documento finale del Congresso già citato, invita poi le Amministrazioni pubbliche e le Autorità locali a riconoscere l’alto valore socio-culturale dello spettacolo viaggiante e a difenderlo, contrastando ogni forma di marginalità e di pregiudizio.
Un argomento di forte dibattito è quello della presenza degli animali negli spettacoli equestri. Non è raro imbattersi in forme di animalismo esasperato che vorrebbero escludere ogni forma di utilizzo degli animali, non solo nei circhi ma anche negli allevamenti, nella ricerca, eccetera. Qual è il suo pensiero al riguardo? Possono convivere, e come, uomo e animali?
Per quanto riguarda la prima domanda, ho già espresso la mia posizione nel già menzionato messaggio per la Giornata Mondiale del Circo. In quell’occasione ho scritto: “Dove l’esibizione artistica circense si avvale della collaborazione degli animali, dimostrando che l’uomo può stabilire con essi relazioni di intesa e di affascinante bellezza, raccomando che i proprietari dei circhi vigilino sull’adeguato trattamento degli animali, tenendo conto del loro benessere”. Vorrei aggiungere che in occasione di tale Giornata, numerosi circhi hanno aperto i loro zoo ai visitatori affinché assistessero agli allenamenti degli animali, in preparazione degli spettacoli.
Di questo si parla anche al n. 11 del Documento Finale dell’Ottavo Congresso Internazionale della Pastorale per i Circensi e i Fieranti che dice: “In alcuni Paesi, i circhi tradizionali devono far fronte alla politica di Amministrazioni pubbliche che contrastano l’impiego degli animali nello spettacolo, cosa che invece è apprezzata dal pubblico. Gli esercizi con gli animali sono tipici del circo classico, dove l’esibizione artistica dimostra che l’uomo può stabilire relazioni di intesa e di collaborazione con gli animali, grazie ad un addestramento rispettoso e positivo”.
Quanto alla seconda domanda circa il rapporto tra l’uomo e gli animali, l’esperienza ci offre esempi concreti sui trattamenti terapeutici in cui si tiene presente l’ancestrale bisogno dell’essere umano di vivere e di stare a contatto con gli animali e la natura. La Bibbia ne parla molto sin dal libro della Genesi.
Uno dei metodi di cura più diffusi è la ippoterapia, riconosciuta come un’attività riabilitativa, in cui si fa ricorso al cavallo. I suoi benefici sono noti fin dall’antichità. Sempre più diffusa negli ultimi anni è anche la zooterapia. I risultati delle ricerche dimostrano come il contatto con gli animali svolga una funzione terapeutica sulle persone.
Benedetto XVI nella sua “Introduzione al cristianesimo” per descrivere la posizione del teologo nel nostro tempo l’ha paragonato al clown, riprendendo il noto apologo del clown e del villaggio in fiamme narrato da Kierkegaard. Cos’è per lei questa figura, da sempre centrale nell’arte circense oltreché nell’arte (si pensi solo a Chagall, Henri de Toulouse-Lautrec e tanti altri) e nel cinema (Fellini e Chaplin ad esempio)?
La figura del clown mi ha sempre affascinato e la considero anche una delle arti circensi più coinvolgenti. Apprezzo e ammiro tutti gli artisti del circo perché sono ben consapevole di quanto sacrificio ed esercizio, quanta dedizione e quante rinunce comporta la loro professione. E per questo oso dire che la loro, più che una professione o un lavoro, è una vocazione. Il clown ci incanta per la creatività e la capacità con cui presenta, in forma di gioco, le cose ordinarie della vita, le azioni o gli atteggiamenti per i quali normalmente proviamo disagio o vergogna, perché considerati sbagliati, sfacciati o esagerati. La sana comicità del clown, la sua disinvolta goffaggine, insieme alla sua apparente spensieratezza, conquistano la simpatia di tutti, dai più piccoli ai più grandi. Sembra che il compito del clown sia solo quella di divertire il pubblico, come recita uno dei grandi comici italiani, Totò, nella sua “preghiera del clown”: “Dacci ancora la forza di far ridere gli uomini, di sopportare serenamente le loro assordanti risate e lascia pure che essi ci credano felici. Più ho voglia di piangere e più gli uomini si divertono … Se le mie buffonate servono ad alleviare le loro pene, rendi pure questa mia faccia ancora più ridicola, ma aiutami a portarla in giro con disinvoltura. C’è tanta gente che si diverte a far piangere l’umanità, noi dobbiamo soffrire per divertirla…”. Questi versi di Totò rivelano ciò che l’arte del clown nasconde dietro le apparenze. La missione e il carisma del clown, infatti, sono ben diversi. Attraverso i suoi gesti spontanei e vivaci, il clown trasmette allo spettatore un messaggio concreto: lo invita a liberare l’allegria e la generosità che porta in sé. In più, il clown cerca di risvegliare nell’uomo la capacità di ridere di se stesso; il suo intento è aiutare le persone a vincere le proprie paure. Il clown ci invita a toglierci quella maschera che indossiamo in certe circostanze per difendere noi stessi o la nostra immagine.

Foto Stefania Ciocca

Nel recente passato si è riflettuto molto sull’aspetto educativo e salutare dell’arte del clown, come d’altronde sul grande valore pedagogico dell’arte circense, che ha trovato vasta applicazione nell’educazione, nell’ambiente sanitario e nel riadattamento sociale. Basti pensare alla cosiddetta clownterapia adottata negli ospedali, ove l’allegria e la risata servono come elementi essenziali della cura.
Quali sono i suoi ricordi legati al circo?
Posso dire semplicemente che ho molto apprezzato ogni visita che ho fatto al circo. Lo spettacolo del circo è qualcosa che non si dimentica facilmente: dagli acrobati agli esercizi di ogni genere, dai domatori con i loro animali agli allegri intermezzi dei clown, c’è un concentrato di bravura e di abilità che sfiora l’incredibile ed è frutto di fatica e di duro esercizio. Questi spettacoli esprimono un modo di vivere e un’esperienza umana che non trovano riscontro e non si possono paragonare ad altre forme di rappresentazione.
Il circo è festa, è gioia di vivere e di fare, è dinamismo allo stato puro. Le sue rappresentazioni sono sempre adatte ad ogni età, perché insegnano quel senso di comunione, di collaborazione e di solidarietà che sono propri a tutti i componenti della troupe. Assistendo a questi spettacoli si riceve il dono di tornare alla meraviglia e all’innocenza nell’infanzia, quanto tutto è ancora puro e pieno di speranze per il futuro.
Claudio Monti

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