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I tanti (e incredibili) volti del funambolismo

Andrea Loreni

Chi ha avuto il discutibile privilegio di trovarsi adulto negli anni Settanta, quando il giovanilismo sparava a raffica slogan in attesa di raffiche più concrete, ricorda senza nostalgia tempi in cui le sue orecchie erano tempestate dall’auspicio di una politica “su equilibri più avanzati”. Su questa espressione ritorno tuttavia volentieri quando la vedo applicabile all’arte circense. In questo caso, a far notizia sui giornali è Andrea Loreni il quale – indossando un severo abito con giacca e cravatta come si addice alla sua laurea in filosofia teoretica – si esibisce a Lodi in piazza Vittoria camminando su un cavo inclinato il cui dislivello, tra partenza e arrivo, è di 45 metri. Ecco, sì, quando si parla di funambolismo – e solo in questo caso, sia ben chiaro – è giusto dire che gli “equilibri più avanzati” sono un messaggio perennemente valido.
E’ addirittura un lavacro per noi del XXI secolo, in troppe faccende affaccendati per guardare in su. Quella della corda tesa, una delle arti più antiche del mondo, è anche una delle più spontanee. Un giorno qualcuno, in qualche parte della Terra che forse era la Cina, ha scoperto che si poteva tendere una corda da un albero e un altro e camminarci sopra. E la scoperta, geniale come l’uovo di Colombo, ha avuto nei millenni migliaia di proseliti. Molto ma molto prima che nascesse il circo di Astley, uomini di tutte le nazioni, e gli italiani in prima fila, avevano sperimentato la gioia di camminare da un tetto di casa a un altro, di salire e scendere lungo un filo obliquo che legava un albero a una finestra o a una torre. E’ arte dei semplici applaudita dai semplici, è arte popolare come Dio comanda.

Don Giovanni Bosco

Quale fascino avesse quest’arte lo comprese anche il giovanissimo Giovanni Bosco, che iniziò la sua missione di fede attaccando i capi di una corda a due alberi distanti fra loro e passeggiandoci sopra. “Sulla corda”, ha scritto un suo biografo, “camminava come se fosse su un sentiero; vi saltava, vi danzava, vi si appendeva ora con un piede ora con tutti e due, ora con entrambe le mani ed ora con una sola. A chi lo applaudiva, il futuro San Giovanni Bosco rispondeva parlando di Dio”.
Questo spiega perchè, in passato, alcuni funamboli siano venuti al circo non perchè nati circensi ma perchè spinti dalla propensione innata verso equilibri impossibili facendone il mestiere di una intera vita. Uno di questi funamboli provenienti dalla strada è un italiano scomparso nel 1970. Si chiamava Adelio Tondolo ed era nato a Buia, in provincia di Udine. Di lui ha scritto su Circo in occasione della morte il giornalista Ricciotti Giollo, che ricordiamo con rimpianto per la passione prodigata a parlare di questa arte negletta. Adelio vide, all’età di 7 anni, un numero di funambolismo in un circo che passava per il suo paese. Si appassionò a quel gioco proibito e lo ripetè a casa sua: sul tetto, sulla ringhiera delle scale, su una corda tesa fra due rami.

Due rare immagini di Adelio Tondolo nel cielo di Udine

Ai genitori che tentavano di opporsi a questa spontanea vocazione rispose andandosene di casa a 20 anni a cavallo di una bicicletta alta 4 metri e mezzo su cui pedalava grazie all’aiuto di trampoli. Fece, in quella scomoda posizione, un giro d’Italia. Nessuno più, ormai, avrebbe potuto fermarlo. Andò al circo, ma non fece solo circo. Ogni tanto ne usciva, per tendere il suo cavo d’acciaio in qualche piazza di paese e camminarvi sopra. Non fece mai ricorso alla rete di protezione e malgrado ciò riuscì nell’impresa di ritirarsi dall’attività non solo vivo ma anche agiato grazie ai compensi ottenuti. Poi, come succede talvolta quando il destino si diverte con cattiveria, bastò una motoretta a concludere la sua vita. Morì in un banale incidente all’età di soli 57 anni.
Sotto lo chapiteau ma anche a cielo aperto: questa è la doppia vita, naturale, di chi cammina su un cavo più sottile del suo dito pollice. E’ acrobazia, certo, ma anche ricerca di un equilibrio personale. Niente di strano che Andrea Loreni, camminatore dei cieli di Lodi, sia arrivato fin lassù grazie anche a chi ha elaborato pensieri sull’uomo molto prima di lui.
La “grande altezza” dischiusa a noi umani ha infinite vie, purchè si abbia l’ardire di ricordarsene.
Ruggero Leonardi

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