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Conosciamo le “star”

I felini

 

Brigitta Boccoli, Diana e Stefano Nones Orfei con la loro splendida tigre

 

Quasi tutti i felini (a eccezione forse della lince, che pure in casi rarissimi vi ha fatto qualche comparsa a solo titolo di presenza) hanno una lunga familiarità col circo, dove sono stati impiegati sin dai tempi antichissimi. L’addestramento dei felini è già noto nelle corti dei faraoni in Egitto ed esercita da subito un grande fascino: sia per la difficoltà e il rischio, che stimolano l’abilità e il bagaglio di conoscenze dell’addestratore, sia per il grande impatto che ha sul pubblico.

Notizie sull’esistenza di serragli ambulanti risalgono al 1700. Si trattava più che altro di modeste esposizioni di animali esotici, fra cui in buona parte di felini selvatici. Ma per vedere all’opera i primi ammaestratori bisogna andare agli inizi dell’800, anche se a quei tempi si trattava di attrazioni da fiera. Solo molto più tardi i serragli si unirono al circo propriamente detto.

Le riproduzioni dei felini all’interno dei circhi sono ormai frequenti e ciò dipende dalle buone condizioni di vita degli animali. L’alimentazione dei felini selvatici in cattività consiste di carne equina o bovina (povera di minerali ma ricca di proteine) e di pollo (contiene parecchie ossa che l’animale frantuma con i denti e ingoia, ingerendo così importanti sostanze minerali). Questa alimentazione viene poi integrata con apporti vitaminici e, ogni tanto, con grosse ossa di bovino o equino che servono al felino per consumarsi i denti che altrimenti crescerebbero troppo.

I cavalli

 

Flavio Togni con i suoi cavalli

 

“Il circo incomincia a cavallo”, non a caso si chiama equestre e la forma moderna di questo antico spettacolo, si può far risalire a Philip Astley, sergente maggiore della cavalleria reale inglese. Lasciati i gradi diede vita, a Londra, prima a una scuola d’equitazione, poi all’Amphitheater of Arts (dove inaugurò la pista di segatura) che gli inglesi finirono col chiamare Circus.

Non tutte le razze di cavalli sono adatte ad essere utilizzate nel circo. Nessun addestratore penserebbe di utilizzare dei purosangue inglesi che, invece, per il loro carattere irruente sono cavalli da galoppo per eccellenza. Lo stesso dicasi per le caratteristiche fisiche necessarie ai diversi impieghi. Nei circhi i cavalli possenti, a schiena e groppa larga, servono per i numeri di jockey e di volteggio, mentre quelli più leggeri e agili (arabi, frisoni, andalusi, …) per i numeri di “alta scuola” e per le evoluzioni “in libertà”.

Se confrontiamo l’impiego del cavallo nel circo rispetto a tutti gli altri settori, notiamo subito che fuori dal “tendone” si chiede molto meno al cavallo di mettere a frutto le sue capacità di apprendimento. Sia che venga impiegato in corse, salti, trotto, passeggiate equestri o traino, non c’è nulla che impegni al massimo la sua intelligenza perché sono tutte prestazioni che si possono ottenere partendo dalla doma come inizio dell’addestramento. Ben diverso è il caso del circo: la precisione, l’eleganza, la docilità richieste nella maggior parte dei numeri, devono essere necessariamente ottenute con un addestramento “in dolcezza”. Per non parlare dell’addestramento comico nello stile della pantomima, dove il cavallo fa tutto da solo e l’addestratore si limita a fare da spalla: sono numeri piuttosto rari, perché difficili da preparare, ma il massimo ottenibile da un cavallo.

I movimenti compiuti dai cavalli nel circo non sono per nulla innaturali: l’impennata (o debout) è l’atteggiamento naturale di attacco, come l’inchino è quello di difesa. Girare in tondo, il cosiddetto walzer, praticamente non è altro che l’annusamento di due animali. Anche lo sdraiarsi a terra è un atteggiamento naturale, anche se insolito perché richiede la completa assenza di paura e l’addestramento potrà ottenerlo solo conquistando la piena fiducia del suo “allievo”.

I numeri di cavalli proposti da Gruss, Knie o dai nostri Togni, hanno elevato il circo a spettacolo di altissima classe ed eleganza.

In fatto di alimentazione, quella del cavallo che vive nel circo è normalmente secca, costituita principalmente da fieno, paglia, avena e crusca. Qualche alimento fresco (carote) e integratori vitaminici minerali, sono necessari nella dieta del cavallo.

Gli Elefanti

 

Pantagruelico spuntino degli elefanti di Mario Bellucci in una sosta ad Imperia

 

Tra gli animali del circo l’elefante è uno dei più caratteristici per la sua abilità, che contrasta stranamente con la grande mole, ed anche per il fascino esotico che suscita nello spettatore. In realtà l’elefante è uno degli animali domestici più antichi che la storia ricordi. Presso le popolazioni asiatiche gli elefanti vengono impiegati da millenni come bestie da soma e da lavoro, ma anche in Africa un tempo venivano addomesticati per rendere servigi all’uomo. Presso i popoli occidentali, sin dai tempi degli antichi romani (si hanno addirittura testimonianze di elefanti funamboli), i pachidermi sono stati sempre addestrati per finalità di spettacolo e non di lavoro.

La loro intelligenza e disponibilità ad apprendere esercizi era quindi ben nota così che dalla prima metà dell’800 entrano a far parte dello spettacolo della pista. Fin dall’inizio gli unici elefanti ad essere utilizzati furono quelli indiani, mentre gli africani per molto tempo si ritennero “indomabili”. Fu Rolf Knie, nel 1956, a dimostrare che anche loro potevano essere addestrati. L’esempio di Knie trovò autorevole seguito nello zoo di Basilea, da sempre considerato uno dei migliori del mondo, dove gli elefanti furono addestrati e presentati giornalmente al pubblico, perché così facendo ne guadagnavano in benessere fisico, grazie al movimento, e psicologico.

L’elefante accetta di buon grado la convivenza con l’uomo e gli insegnamenti da questi impartiti, perché ha un notevole grado di intelligenza e perché in natura vive in branchi e quindi è soggetto alla gerarchia sociale e all’accettazione di un capobranco.

L’ammaestramento dell’elefante è spesso oggetto di molte critiche, per lo più dettate da un atteggiamento emotivo e poco razionale, perché vedendo queste bestie enormi si crede che debbano fare chissà quali sforzi per assumere certe posizioni. Ma se veramente fosse così, sarebbe impossibile costringerli con la forza: sia perché certe difficoltà di natura fisiologica non si potrebbero superare, sia perché l’elefante non accetta mai di buon grado di essere maltrattato e, soprattutto, è molto vendicativo e non dimentica i torti subiti.

Gli esercizi dell’elefante nel circo nascono da un attento controllo della sua forza muscolare e vengono impartiti nei tempi dovuti, visto che lo sforzo richiesto a un animale deve essere proporzionato alla sua crescita per evitare danni cronici.

Le Otarie

 

John Burke con le sue otarie

 

Quelle che vediamo nei circhi non sono foche ma otarie, animali più agili, a collo lungo e con la tipica andatura che sfrutta tutte e quattro le pinne (le foche hanno un corpo tozzo e rotondeggiante e si muovono quasi strisciando).

Il loro impiego nel circo è abbastanza recente (risale al finire dell’800) ma il gradimento che riscuotono – forse per la loro simpatia – è altissimo. Secondo uno storico del circo, Alessandro Cervellati, la prima presentazione di otarie in Italia risale al 1908.

Le loro esibizioni sono molto caratteristiche e divertenti: l’otaria tiene in equilibrio sul naso oggetti di svariate forme e dimensioni, eseguendo vari movimenti, soprattutto la discesa e la salita sulle scale. L’aspetto apparentemente goffo dell’otaria, in contrasto con le sue straordinarie doti di equilibrio, e il suo comportamento sempre giocoso, conferiscono un inevitabile aspetto comico che, col passare degli anni è evoluto fino alla creazione di vere e proprie pantomime.

L’otaria è uno degli animali forse tra i più facili da addestrare: è dotata di un notevole grado di intelligenza, è capace di affezionarsi all’uomo, ed ha una notevolissima agilità dei muscoli del collo (allo stato naturale pesca immergendosi in acqua e spingendo col naso i pesci in superficie).

Le otarie hanno bisogno di una spaziosa vasca d’acqua e sono assai esigenti in fatto di alimentazione, costituita da pesce di vario tipo, soprattutto pesce azzurro (sarde, sgombri, …) o anche molluschi come calamari e seppie.

Il gruppo esotico

Il “numero esotico” riunisce cammelli, lama, guanachi, alpaca, canguri, antilopi, zebre, bovidi selvatici, giraffe, ippopotami e rinoceronti. Va riconosciuta una nota di merito a tutti gli ammaestratori che sono riusciti a “educare” animali ritenuti intrattabili, sia perché selvatici, sia perché non particolarmente ricettivi degli insegnamenti impartiti. Tipico è l’esempio del rinoceronte, considerato indomabile fino a pochi anni fa, e che oggi vediamo in molti circhi italiani e stranieri. Altrettanta abilità va riconosciuta a quanti portano in pista volpi, gatti, uccelli rapaci e perfino gli stessi maiali, apparentemente così paciocconi ma in realtà dotati di un carattere irascibile e pigro.

Certi limiti dati dall’indole naturale di alcune specie restano tuttora insuperabili. Per esempio, nessuno è riuscito ad ammaestrare un cervo dopo lo storico Coco comparso sulla pista parigina dei Franconi due secoli fa. Un’ulteriore conferma questa, di come nel circo l’istinto naturale possa essere “indirizzato” ma non completamente modificato.

Molti animali che formano un gruppo esotico, nei loro paesi d’origine sono animali domestici: lama, cammelli, dromedari, yak. Perfino gli struzzi, in Sudafrica e in Sudamerica, vengono usati come cavalcature ed è cosa nota che con essi si disputano anche delle gare.

Come classificazione zoologica gli animali che normalmente compongono il gruppo esotico si possono dividere in due gruppi: perossodattili e artiodattili. Del primo fanno parte rinoceronti e zebre che presentano, soprattutto queste ultime, parecchie affinità con i cavalli (anch’essi perossodattili). Si alimentano di fieno, molto fibroso, grano per i rinoceronti. Gli artiodattili (bovini e bufali selvatici, bisonti, lama, cammelli, dromedari, giraffe, antilopi, ippopotami) presentano alcune analogie con bovini, ovini, caprini e suini. Eccezion fatta per l’ippopotamo, sono tutti ruminanti.

I cani

Animale domestico per antonomasia, da millenni compagno dell’uomo in molteplici occupazioni, è difficile dire quando il cane fu impiegato come animale da spettacolo. I saltimbanchi medievali e gli zingari presentavano già “cani sapienti”, ma ancora non si poteva parlare di vero e proprio addestramento. I primi circensi dell’800 preferivano però presentare animali rari e selvatici piuttosto che i cani domestici, perché non suscitavano emozioni nel pubblico. Fu soprattutto per la ricerca di stimoli nuovi da offrire agli spettatori, che le esibizioni dei cani furono improntate a uno stile che dura tuttora, cioè il comico.

I numeri tradizionali di cani si fondano generalmente su salti, equilibri su funi, piedistalli e globi, equilibrio su due zampe. Con i numeri in stile pantomima i cani svolgono una sorta di recita nella quale anche l’addestratore è impegnato in prima persona. I primi a proporre tali novità sono stati i russi che hanno simulato lezioni scolastiche o addirittura cani ammalati o infermieri. A questo genere si riconducono le ormai diffusissime partite fra “cani calciatori” con tanto di maglietta e numero.

Se un primo tempo le razze più impiegate furono barboncini, terrier e bastardini, in seguito si sono visti in pista boxer, pastori tedeschi, dobermann, levrieri, pastori inglesi e altri. Esercizio come l’avvitamento su se stesso o il camminare su due zampe, si ottengono facilmente dai cani di piccola taglia, mentre non si è mai visto un pastore tedesco fare altrettanto proprio perché sarebbe una posizione innaturale per una razza come questa.

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