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Giorgio Celli: spirito libero, esploratore innamorato della natura

Giorgio Celli io un giorno l’ho visto piangere con lacrime di quelle vere. Non si sforzava di trattenerle mentre mi raccontava la scomparsa del gatto più importante fra quelli che avevano costellato la sua vita. Non fosse stato amico di Celli, quel gatto avrebbe salutato il mondo molto prima. Invece, grazie all’amore e alla scienza di quel padrone tutto speciale, se n’era andato in tarda età. Ma anche di questo, ripensandoci, Giorgio si faceva cruccio. “Forse me ne vorrà, dal paradiso dei gatti. Certe sofferenze avrei potuto risparmiargliele. Ma cosa vuoi che ti dica? Io sono per la vita, sempre e comunque”. E posso testimoniare che questa era pura verità. Giorgio Celli, da emiliano di razza, la vita l’affrontava a morsi, così come quando era a tavola e si trovava di fronte a cibi di suo gusto, cancellando di colpo l’immagine del medico di fiducia che gli aveva suggerito di andarci piano.
Non per caso, del resto, aveva fatto una precisa scelta professionale. Tutti sanno che era amico dei gatti e la sua casa era sempre aperta a randagi di qualunque sorte e invece non tutti sanno che la prima scelta della sua vita erano stati gli insetti. Si era specializzato in entomologia e questa materia insegnava all’Università di Bologna. Per avventarsi a testa bassa sui principi dell’esistere nel mondo, come desiderava, non poteva cominciare se non dal minuscolo esercito che noi talvolta calpestiamo con indifferenza ma in realtà condiziona a suo modo la vita del nostro pianeta. Ho il ricordo di una sera con mia moglie e con lui. Prima a cena, e poi durante la passeggiata digestiva, ci raccontò tante cose di quel piccolo mondo da lasciare di stucco anche me che pure di animali credevo di saperne. Quante strategie, quanti espedienti per stare al mondo di cui noi comuni mortali neppure abbiamo il sospetto. Ma poi accadeva che, d’improvviso, la conversazione cambiasse argomento, e anche allora Giorgio Celli restava un interlocutore che bisognava, assolutamente bisognava, stare a sentire. Mi riferisco ad esempio a un pomeriggio a Siracusa, in cui ci ritrovammo insieme sugli spalti del teatro antico ad assistere alla rappresentazione di una tragedia greca. Dopo, camminando, Giorgio mi parlò di Edipo, del mito di Edipo, della coscienza edipica nel quadro di una comparazione fra l’uomo e l’animale che ancora rimpiango di non avere registrato per riascoltarmela ogni tanto.
Aveva scritto anche per il teatro, l’entomologo Giorgio Celli. Ma si fa più presto a dire che non esisteva ramo letterario di cui non fosse a conoscenza. Aveva in casa una montagna di libri che talvolta gli dava anche qualche preoccupazione. Mi diceva: “Se lo sapessero i vicini…” e qualche ragione l’aveva. Perchè tanti erano i libri lì da ammassarsi anche al centro della stanza, con qualche possibile rischio per la tenuta del pavimento. D’altro lato, oso dire, mai disordine più di quello era benedetto dal dio della cultura. Quei libri non erano lì per impressionare gli ospiti. Lui li consultava, li leggeva, talvolta se li succhiava con la medesima voracità che dedicava alle ore dei pasti. Un giorno mi raccontà che, frugando, si era trovato alle prese con libri di Dumas, e poi prese a parlarmi di Dumas come se in vita non avesse fatto altro che coltivare l’autore dei Tre Moschettieri.
Spiego, ora, perchè ci siamo trovati a Siracusa insieme. Eravamo associati, in quel momento, in una operazione di favole naturalistiche a scopo didattico. Io scrivevo una fiaba di fantasia che però prendeva le mosse da un ambiente specifico e Giorgio Celli spiegava ai giovani lettori come guardare a quell’ambiente, a quegli animali, a quei vegetali, con gli occhi di un naturalista alle prime armi. In quel caso ci eravamo incontrati con lettori di varie età per una fiaba che faceva riferimento alla Riserva Naturale Orientata “Fiume Ciane e Saline di Siracusa”. I nostri ruoli, durante gli incontri, erano ben distinti. Io ero l’autore della favola, lui era Giorgio Celli. Intratteneva i giovanissimi da par suo, parlando di gatti, di animali e poi ancora di gatti e stimolando gli interlocutori a rispondere a certi quesiti senza mai dare l’impressione di essere un professore sulla cattedra. Era Giorgio Celli e basta. Infinite, poi, le richieste di autografi su libri, quaderni, pezzi di carta improvvisati.
Gli ho parlato di circo, qualche volta. Gli raccontavo di certi comportamenti, di leoni o elefanti o altri animali, e mi stava ad ascoltare con una curiosità che non era pura cortesia.
I discorsi su quell’argomento lo appassionavano comunque e certo non era tipo da tapparsi le orecchie, come una beghina di chiesa, nell’apprendere che le notizie venivano da un luogo “profano” come il circo. Mancherei però di lealtà verso la sua memoria compiendo un atto di appropriazione indebita quale sarebbe quella di fare di lui un potenziale amico del circo pur se sprovvisto di tessera. Figlio di un padre che non aveva smesso di essere comunista neppure dopo la denuncia delle colpe di Stalin, non si era mai dissociato dal retaggio paterno e aveva – pur mantenendo inalterata la sua personalità di intellettuale curioso di tutto – conciliato il suo cuore rosso con la causa dei Verdi. In quel movimento aveva militato al Parlamento Europeo e poi come consigliere comunale a Bologna. E la militanza, in Italia, talvolta è causa di spazi non percorribili anche per un esploratore ingordo di spazi come l’amico Giorgio Celli.
Ruggero Leonardi

La camera mortuaria da domani è allestita nell’Area Malpighi dell’ospedale (via Pizzardi, ore 7.30-13.30) e nella stessa mattinata l’Università di Bologna ha organizzato una commemorazione alla cappella di Santa Maria dei Bulgari dell’Archiginnasio, alla presenza del rettore Ivano Dionigi. La salma sarà poi tumulata nel cimitero di Monzuno, sull’Appennino Bolognese.

Pillole di “Celli pensiero”.

1. Cominciamo dalle dichiarazioni più recenti, che gli procurarono le critiche di parecchi animalisti, relative agli zoo (basta farsi un giro sul web per verificarlo):

“Per esempio ai Giardini Margherita di Bologna viveva da tempo un leone, di nome Reno, ospite di una gabbia piuttosto angusta che attirava folle di bambini. Si decise che Reno doveva essere liberato e fu inviato in un parco naturale che accoglieva altri individui della sua specie. Ahimè lo straniero, precipitato in quel parco come una meteora, venne fatto a pezzi dai legittimi inquilini che dovettero considerarlo un intollerabile rompi scatole. Il rinoceronte di un minuscolo zoo che non voglio ricordare fu del pari, secondo gli animalisti, rimesso in libertà, e cioè inviato in uno zoo iugoslavo dove, nel corso della guerra, fu messo allo spiedo dai cittadini affamati.
Riconosco le buone intenzioni di chi voleva liberare questi due poveri prigionieri, ma di buone intenzioni, come si sa, è lastricata la via dell’inferno”. (Giorgio Celli, La Stampa, 6.1.2011)

“Sono convinto che gli zoo, nella stragrande maggioranza dei casi, siano l’equivalente dei campi di concentramento nazisti, e che, per reclamare il diritto di esistenza, dovrebbero essere come il celebre zoo di San Diego in California, dove gli animali hanno a disposizione degli ampi spazi e delle strutture capaci di ricoverarli nella maniera migliore. Però non posso dimenticare che la mia vocazione di naturalista e il mio amore per gli animali è nato proprio frequentando, da bambino, quello che oggi si chiama il bioparco di Roma. Credo di non essere il solo che potrebbe fare questa un po’ spudorata confessione. Nutro così nel mio cuore qualche pensiero che gli animalisti radicali giudicheranno perverso, e cioè che ai bambini che vivono in città non bastano i video scientifici della televisione per evocare in loro quell’emozione fondamentale, direi primordiale, che si prova fissando negli occhi, anche attraverso le sbarre, una tigre in carne e ossa. Si può così congetturare che questi poveri animali prigionieri siano lì, in quelle gabbie e al di là di quei fossati, per dare testimonianza di quelli che vivono nei territori d’origine e che è necessario salvaguardare. Se è vero che lontan dagli occhi lontan dal cuore, si impara ad amare gli elefanti cominciando dall’area conclusa di un zoo. I sogni più belli sono quelli che si possono fare ad occhi aperti”. (Giorgio Celli, La Stampa, 6.1.2011)

2. Non meno sorpresi furono ambientalisti e animalisti (in primis Lega Antivivisezione ed Enpa) nello scoprire che Giorgio Celli aveva deciso di difendere la costituzione dello zoosafari di Ravenna, definendo “un progetto secondo natura” ed entrando a far parte anche del Comitato di valutazione – voluto dall’amministrazione comunale di quella città – in rappresentanza del Parco del Delta del Po.

3. Gli animali hanno un’anima? Per loro c’è un al di là?

“Se il Paradiso esiste è giusto che sia popolato di animali. Ve lo immaginate un Eden senza il canto degli uccelli, il garrire delle rondini, il belare delle caprette e l’apparire del buffo e curioso musetto di un coniglio? Di sicuro nel mio Paradiso ideale non possono non echeggiare miagolii da ogni angolo. Il festoso abbaiare di cani che giocano finalmente sereni”. (Giorgio Celli, Anche gli animali vanno in Paradiso, storie di cani e di gatti oltre la vita, Edizioni Mediterranee 2001)

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