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Dana

“Amo molto il cinema, mi piacciono il teatro e la danza e mi piace molto anche il circo. Mi piace vederlo, leggerne e scambiare opinioni”. Così Laura Zuzzi si presenta accompagnando il racconto che ha scritto per il concorso Letteralmente Circo. “Da anni lavoro a contatto con molti circensi ed ho una discreta conoscenza di questo mondo particolare, pur non avendone mai fatto parte. Scrivo solo per diletto, molto raramente e solamente quando spinta da una vera idea. Aggiungo che non mi piace quasi mai il risultato finale”. Dopo L’ultima prova di Erica Balduzzi, ecco Dana di Laura Zuzzi.

Dana

La neve che cadeva senza sosta da due giorni aveva uniformato il paesaggio. Guardò fuori. Il circo quasi non si vedeva. Era come se qualcuno avesse lasciato cadere un lenzuolo bianco sopra un presepe. Solo punte e avvallamenti, ma tutto era bianco.
Dana era felice, quella neve le ricordava casa sua, la Siberia. L’odore della neve, l’aria gelida nelle narici, i passi muti che affondano, il silenzio, la luce bianca. Non l’avrebbe più rivista la Siberia, lo sapeva, come avrebbe potuto? Era così lontana. Lavorava nel circo da così tanto tempo, l’Europa era ormai la sua casa.
Esultò dentro di sé per quell’interminabile e insolita nevicata che la riportava indietro nel tempo, ma cercava di non lasciar trasparire la sua gioia. Erano tutti preoccupati, tutti arrabbiati, facce scure e occhi torvi guardavano il cielo e lo maledivano. Certo la neve per il circo era un vero pericolo, il suo peso schiacciava il tendone, tutto diventava più complicato, più faticoso, più pericoloso. Le dispiaceva, certo, perché amava quel circo che era diventato la sua casa, i proprietari, i colleghi, gli operai. Un’intera società in miniatura.
Distolse lo sguardo dalla neve e si voltò pensosa a guardare suo figlio che giocherellava con una pallina nell’angolo. Lui la Siberia non l’aveva mai conosciuta, era nato in Europa durante uno dei mille spostamenti, era figlio di molte terre e di nessuna in particolare. Meglio così, si disse, non conoscerà la nostalgia, non cercherà in tutti i luoghi un odore, un sapore, un paesaggio per conservare nella memoria la casa della sua infanzia. Era figlio del circo e lì stava, non poteva essere più contento.
Lui ancora non si esibiva, stava imparando ma era davvero troppo presto, portarlo in pista era impensabile, era completamente inaffidabile, completamente si disse sorridendo tra sé. Era dotato ma incostante, lunatico, a volte svogliato e pigro, a volte scatenato e incontenibile. Aveva ancora quell’aggressività giovanile che è spesso un ostacolo all’apprendimento. Pazienza, non c’era fretta, sarebbe arrivato il suo momento, avrebbe avuto i suoi applausi e le sue soddisfazioni. Lo guardò compiaciuta, com’era bello, somigliava al padre. Aveva lo stesso incedere elegante, lo stesso sguardo fiero, gli stessi colori.
Suo marito se n’era andato poco dopo la nascita del piccolo, all’improvviso era partito con un altro circo e chi lo sa dove stava ora. Non l’avevano più rivisto. Non era stato un grande dolore in verità, era più addolorata per il figlio che per sé. Non era certo stato un grande amore; un’unione dettata dalle circostanze più che dal sentimento. Capita. Le dispiaceva solo non sapere più nulla di lui, dove stava, se lavorava ancora, se si era fatto una famiglia, se era felice. Così, per poter dire qualcosa a suo figlio nel caso avesse fatto domande.
Dana non sentiva la necessità di una presenza maschile accanto a sé, per il momento preferiva dedicarsi a suo figlio. I corteggiatori non le mancavano di sicuro, era sempre bellissima, affascinante, intensa. Quando era in pista catalizzava gli sguardi, cosa questa che faceva serpeggiare non poca gelosia tra le sue colleghe, specialmente tra le più giovani, tutte convinte di essere chissà quali grandi artiste. Mancavano di umiltà, ecco il problema.
Si voltò di nuovo a guardare fuori, era quasi ora di andare in pista per le prove. Da qualche giorno provavano una variazione sul numero e voleva farla bene. Provare le piaceva. La ripetizione dell’esercizio alla ricerca della perfezione era stimolante e lei era un tipo tenace. Con lo sguardo nel vuoto ripassò mentalmente i suoi movimenti dall’inizio alla fine. Sotto il tendone il silenzio dovuto all’assenza del pubblico permetteva di sentire il numero, oltre che vederlo. I comandi, i tonfi, gli attrezzi che si spostavano. Senza quel brusio costante anche la musica sembrava più bella. A lei non piaceva, e nemmeno al suo partner, ma era stata imposta dall’alto. Il capo aveva deciso, quella era collaudata, diceva, al pubblico piaceva. Fine della questione. Gli artisti a volte si ritrovavano con il proprio numero stravolto, via quella musica, accorcia qui, allunga là, questo toglilo, questo mettilo e alla fine era tutta un’altra cosa. Il risultato finale non sempre era migliore di quello iniziale, ma questo non si poteva certo dire. Molti capi sono così, ma se si vuole lavorare a volte tocca dire sì.
La porta si aprì. “Dana, andiamo bella, è ora di lavorare”. Erano venuti a chiamarla, bene, era pronta, aveva voglia di sgranchirsi un po’. S’incamminò verso l’uscita, si fermò un attimo a dare un’ultima occhiata a suo figlio; era un po’ apprensiva, lo riconosceva, e preferiva averlo sempre con sé, ma a volte non era proprio possibile. Era tranquillo, assorto nel suo gioco, preferì non disturbarlo. Lì stava al sicuro e c’era chi si occupava di lui in sua assenza. Esitò un attimo e poi uscì.
Il numero stava venendo davvero bene, si compiaceva della soddisfazione che leggeva negli occhi del suo partner. Il debutto era previsto per quella sera stessa, erano quasi pronti. “Brava Dana, brava…”, era bello sentirselo dire! Aveva lavorato con diversi partner nella sua carriera, ma con Slava aveva finalmente trovato l’intesa perfetta. Erano in completa sintonia, anche se non mancavano i momenti di tensione, certi giorni l’avrebbe sbranato volentieri. Niente di importante però, niente che potesse minacciare seriamente il loro sodalizio artistico. Tra loro c’era rispetto, affetto e intesa lavorativa, nulla di più. Non avrebbe potuto esserci. Aveva un ottimo rapporto anche con la moglie di lui, Anna. Era dolce e tranquilla, e si vedeva che Slava l’amava davvero. Ogni tanto veniva in pista anche lei, così per cambiare, partecipava al numero in un ruolo secondario, non rubava la scena a nessuno. A volte Anna passava da lei a trovarla, anche per vedere suo figlio, per vedere come stava, se mangiava, se cresceva, se imparava. Era carina con loro.
Dopo le prove fece un piccola merenda e riposò un pochino. Non poteva mangiare prima dello spettacolo, la cena l’aspettava al suo ritorno.
Guardò fuori di nuovo, la neve s’era fermata. L’attività del circo era ripresa in modo febbrile in vista del debutto serale. Tutti correvano da qualche parte con qualcosa in mano, chiamavano, davano ordini, gli operai si affannavano a spazzare per liberare il passaggio, nessuno stava senza far niente. In mezzo a tutto quel chiasso suo figlio dormiva russando. Ah, beata gioventù!
Il pubblico cominciava ad affluire. Meno male, aveva temuto che la neve avrebbe tenuto tutti a casa. Avevano piantato in una zona centrale del paese, quindi molti spettatori arrivavano a piedi. Ecco le voci dei bambini, ecco l’odore di pop corn, di zucchero filato, di hot dog.
Lo spettacolo era cominciato, trasportati dall’aria le arrivavano gli applausi, le risate, la musica. Cominciò a sentirsi agitata ed eccitata. Cercava di concentrarsi sulla sua esibizione, che ormai era prossima, ma suo figlio, che si era svegliato, aveva deciso di mettersi a giocare alla lotta con lei proprio adesso. Non ne voleva sapere di stare tranquillo. Cercava di fare lo sguardo severo per farlo smettere, ma le veniva da ridere. Era davvero buffo.
La porta si aprì, era ora. Tornò seria, spostò di peso suo figlio, si alzò da terra e uscì.
Aspettava impaziente il suo momento dietro le quinte. Camminava avanti e indietro nervosamente senza sosta.
Finalmente il presentatore annunciò il numero, la musica partì e Dana, la tigre siberiana, imboccò il tunnel per fare il suo ingresso nella pista illuminata.

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