|

Cambia il vento per l’animalismo?

Sta cambiando il vento in Italia a proposito di animalismo? Qualche segnale c’è. Pochi giorni fa due personaggi del calibro di Vittorio Sgarbi e Alessandro Meluzzi, prima a Uno Mattina e poi intervenendo alla conferenza stampa dell’Ente Nazionale Circhi a Montecitorio, hanno smontato le tesi animaliste con la semplicità con la quale i bambini maneggiano i Lego. E visto che quei nomi non passano inosservati, il segno l’hanno lasciato.
Nella categoria dei veterinari, una realtà autorevole come la Fnovi, per bocca del suo presidente si è chiesta di recente con una certa durezza – ed è la prima volta che viene assunta una posizione così netta – se “gli animalisti hanno una deontologia”. Sempre nello stesso ambiente, il presidente nazionale dei veterinari Sivelp, Angelo Troi, non manca ormai con una certa frequenza di mettere in discussione le tesi animaliste (ad esempio in tema di sperimentazione sugli animali). Il settimanale Tempi ha dedicato poco tempo fa un editoriale (verteva sulla notizia della querela presentata dal partito animalista al senatore Giovanardi, oggetto del contendere la vicenda del talidomide) dal titolo emblematico: “Le imposizioni animaliste condannano le persone”.
A La Zanzara, programma radiofonico parecchio seguito su Radio 24 Il sole 24 Ore, condotto da Giuseppe Cruciani con la collaborazione di David Parenzo, si è avuto un altro assaggio dell’aria che tira: ad un Giovanardi impegnato a difendere i circhi dall’assalto animalista e a sottolineare il Dna del “fondamentalismo animalista”, Parenzo ha risposto: “Se fossi vicino a lei in questo momento l’abbraccerei fortissimo e le darei un bacio sulla fronte perché finalmente sta dicendo delle cose di assoluto buonsenso e sono feliuce: viva i circhi, deve candidare l’elefante di Moira Orfei in lista ora…”. Si scherza ma non troppo, perché l’esasperazione e l’illogicità di certa ostinata insistenza animalista, contro tutto e contro tutti, è ormai arrivata a livello, come si suol dire.
Sempre su Tempi Rodolfo Casadei ha scritto un pezzo dal titolo “alla misantropia degli animalisti preferisco il sudore dei vetturini”. E lo svolgimento (prende spunto dallo scontro fisico fra i vetturini delle botticelle romane e il partito animalista europeo avvenuto la scorsa estate) è molto interessante: “… prima che commisurata ai fatti e alle circostanze, la mia presa di posizione è culturale. Perché il linguaggio degli animalisti rappresenta un vero e proprio inquinamento del pensiero e perché al fondo delle loro azioni c’è un’antropologia insostenibile e inaccettabile, sentimentalista e misantropa. È un abuso costante della razionalità l’uso da parte degli animalisti, sull’onda degli scritti di Peter Singer e Richard Ryder, del termine “diritti” in riferimento a quello che potrebbe o non potrebbe essere fatto dagli uomini agli animali. I diritti sono il necessario complemento dei doveri dei soggetti moralmente responsabili, cioè di coloro che dispongono di un certo grado di libertà nelle loro azioni. Gli esseri umani hanno diritti perché hanno doveri: sono tenuti, per esempio, a rispettare l’integrità della vita degli altri uomini, e da ciò discende logicamente il diritto di ogni essere umano a non essere ucciso. Questo non vale per gli animali, ai quali non può essere chiesto di assolvere a doveri: l’istinto detta tutti i loro comportamenti, e l’animale che uccidesse un essere umano con un’azione innescata o dalla paura, o dalla fame, o dagli imperativi del controllo del loro territorio, ecc. non sarebbe moralmente responsabile della sua azione. La soppressione o la reclusione di un animale che ha causato gravi danni a esseri umani non è una punizione o una pena – concetti relativi all’ambito morale – ma una misura pratica per prevenire il ripetersi del danno. Pertanto gli animali, non avendo doveri verso gli uomini, non hanno nemmeno diritti. Quel che esiste, quello di cui ha senso parlare, è il dovere dell’uomo di governare rettamente il creato, di cui gli animali sono parte”.
E ancora: “I militanti del Partito animalista europeo si mostrano commossi e indignati per i cavalli che lavorano con temperature superiori ai 35 gradi centigradi: nemmeno per un momento provano simpatia per i vetturini, che pure sudano e faticano sotto il sole (o sotto il cattivo tempo, a seconda delle stagioni e delle giornate) per portare a casa la pagnotta. E nemmeno per un momento riescono a mettere a fuoco l’idea che i primi ad essere interessati alla salute del cavallo sono proprio i conducenti dei calessi: dalle condizioni del loro animale dipende la loro possibilità di guadagnarsi da vivere. Questi signori e signore arrivati a Roma coi mezzi pubblici dalle loro case e dai loro uffici rinfrescati dall’aria condizionata pretendono di essere più competenti in materia di cavalli di coloro che trascorrono la maggior parte della propria vita a contatto con essi. Palesemente non hanno familiarità coi duri lavori all’aria aperta che da migliaia di anni vedono uomini e animali accomunati nello stesso destino: guadagnarsi la vita faticando, il bue trainando l’aratro e l’uomo dietro a gettare le sementi e poi a raccogliere con la schiena curva il prodotto della terra, il mulo a trasportare su e giù per le montagne le fascine di legna che l’uomo ha faticosamente tagliato e ammucchiato”.

Short URL: https://www.circo.it/?p=24266

Comments are closed

Archives

Comments recenti