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Buccioni: “I circhi in Italia operano in condizioni mortificanti”

Antonio Buccioni, presidente Enc, e Luca Verdone al Festival del Film di Roma (foto Circo.it)

Ultimo è stato il recente Festival del Film di Roma a rendere omaggio al Circo italiano con ben due appuntamenti. Il primo è la proiezione del film di Luca Verdone  “La meravigliosa avventura di Antonio Franconi” sul cammino artistico ed umano del fondatore di una grande dinastia circense; il secondo è la presentazione della versione restaurata de “Il più comico spettacolo del mondo”, di Mario Mattoli, con Totò, film del 1953  che rifà il verso a “Il più grande spettacolo del mondo”, di Cecil DeMille. 
“E’ stata per noi motivo di grande soddisfazione l’attenzione che il festival ha dedicato al Circo, che ha potuto così essere qualitativamente e significativamente ben presente alla manifestazione”. Questo il commento di Antonio Buccioni, presidente dell’Ente Nazionale Circhi da febbraio scorso, al quale chiediamo quale sia oggi la qualità artistica del Circo italiano.
“Ricordo – risponde – che quest’anno Flavio Togni è diventato l’artista più ‘medagliato’ della storia del Festival del Circo di Montecarlo. Ma aggiungo anche che al di là delle singole stelle c’è una eccellente generazione di artisti, in buona parte uscita dall’Accademia del Circo, fondata e presieduta dal nostro decano, Egidio Palmiri”.
Ma, al di là degli omaggi e dei premi, come vanno le cose per il Circo?
“Possiamo dire – continua Buccioni – che c’è un dato sicuramente positivo rappresentato dall’eccellente stato di salute del circo nel mondo. E non parlo solo dello spettacolo classico ma anche delle novità nate e cresciute in questi anni. Oggi ci sono realtà assolutamente rassicuranti non solo dal punto di vista artistico ma anche economico e strutturale”
Venendo all’Italia?
“Ancora due dati positivi: l’abbraccio di un pubblico affezionato e fedele, uno zoccolo duro non scalfibile, e l’animo eroico di tanti circensi che mettono la tradizione alla base del loro impegno. Per il resto, le condizioni di mortificazione in cui l’attività dei circensi si svolge in Italia avrebbero piegato qualsiasi altra attività di spettacolo”.
Addirittura mortificazione?
“Basta guardare ai fatti. Ci sono poco meno di cento complessi operanti in Italia, e la metà di questi svolge attività continuativa. In tutto, prendono dallo Stato due milioni di euro. Poi c’è un altro milione e 300 mila euro destinato a una serie di lodevoli istituzioni come l’Accademia del Circo, la Casa di riposo, il Centro di documentazione, attività editoriali e alcuni festival. E questo è tutto perché il Circo non riceve un euro dagli enti territoriali. Ciò significa che non esiste in Italia un solo complesso che potrebbe vivere di contributi pubblici. Questa è, credo, una specificità del solo mondo del Circo”.
E’ così difficile il rapporto con gli enti territoriali?
“C’è un semplice confronto che dice molte cose: in questo mese di novembre, a Parigi si svolgono i cosiddetti Gala. Sono spettacoli circensi che vengono venduti alle grandi imprese private. In questa occasione, quattro o cinque complessi vengono installati nel Bois de Boulogne. A fronte di ciò, sono trent’anni che non viene concessa ad un circo nemmeno la parte meno nobile di Villa Borghese, a Roma. Quello degli spazi è un problema che già vent’anni fa sollevammo insieme all’Agis, con clamore anche mediatico. Oggi, gli stessi Togni, che hanno piantato i loro chapiteaux nella Piazza Rossa a Mosca, nelle principali città tedesche, nella stessa Parigi, non provano nemmeno più ad ottenere uno spazio significativo in una città italiana e cercano aree marginali”.
Una situazione indubbiamente non gratificante.
“A cui si aggiungono le diverse sovrintendenze che gravano sulle città e che hanno ciascuna le proprie regole. Ma c’è di più, perché anche nel campo delle regole ci si scontra con comportamenti contraddittori. Per esempio, mentre vengono negati ai complessi circensi gli spazi, e ciò in violazione di una legge tuttora operante, la 337 del 1968, agli stessi complessi si chiede il rispetto di norme che riguardano la stabulazione degli animali, che ovviamente necessita innanzitutto di spazi adeguati”.
Il rapporto tra Circo e animali è sempre stato un tema delicato.
“Certo, ed è un tema fondamentale sul quale vogliamo essere chiari. Noi siamo più che favorevoli al corretto rapporto tra gli animali e lo spettacolo circense. Oggi nei nostri complessi opera il 25% degli animali che c’erano ancora negli anni ’60. Abbiamo rinunciato, con senso di responsabilità, all’impiego di animali come i primati o gli orsi. Vediamo con assoluto favore, anche a costo di sacrifici economici di tutto rispetto, l’evolversi della normativa sul trattamento degli animali. E’ nostra ferma intenzione continuare a migliorare sempre in questo campo. A fronte di ciò, però, ci si impongono condizioni sempre più onerose, negandoci allo stesso tempo gli strumenti essenziali per fare il nostro lavoro”.
Quali sono gli altri problemi dei circhi?
“Per esempio, il rapporto con le aziende fornitrici di energia elettrica, che cambia senza tenere in alcun conto le proposte avanzate da noi e dallo spettacolo viaggiante. E quello con Trenitalia, che si è stravolto dopo l’esaurimento dei fondi pubblici a ciò destinati e che tanto positivamente avevano influito nel rapporto con le ferrovie”.
Il Giornale dello Spettacolo sta cercando di capire se la tv possa essere uno strumento di promozione del cinema in sala. Per il circo com’è la situazione?
“Per noi la Rai è stata sempre un buon veicolo promozionale. Ha dato spazio anche a singoli artisti ospitati in vari programmi. E il Circo è stato di supporto alla televisione pubblica. Ora, che siamo relegati praticamente solo su RaiTre, riusciamo a fare il 10% di share anche in replica. E sono risultati importanti per quella rete. Con un utilizzo ben calibrato del nostro prodotto in tv potremmo essere ancora più presenti sulla Rai e su altre reti”.

L'assemblea Enc dello scorso maggio

Veniamo all’Ente Nazionale Circhi. Com’è il rapporto con i soci?
“In tempi in cui la Fiat lascia Confindustria, la Scala non è più nell’Agis, evidentemente le cose stanno cambiando per tutti e quindi anche per noi. Io continuo a credere in un modello neocorporativo di tipo americano. Ma oggi è più difficile far comprendere l’importanza dell’associazione, dello stare insieme, della necessità di versare le quote sindacali. Quello che paga, ritengo, è il rapporto personale con la singola impresa. Siamo poco meno di cento, come ho già detto. Ebbene, bisogna intessere un dialogo con ciascuna impresa, per far toccare con mano l’importanza dell’appartenenza. E’ quello che sto facendo”.
In questo quadro non facile, come vede il Circo tra dieci anni?
“Il Circo esisterà ancora perché esiste un pubblico che lo vuole fortemente ed esistono degli artisti che fanno onore al loro mestiere. Certo, però, che deve cambiare il rapporto con le istituzioni. Non si potrà tornare ai tempi di una volta ma deve finire questo medioevo spirituale e culturale che ci circonda. Deve, insomma, ‘passare la nottata’, altrimenti il problema non sarà solo quello di sapere cosa accadrà del Circo o dello spettacolo in generale. E l’Italia deve fare più di altri perché le differenze tra Sanremo e Mentone, tra Como e Chiasso sono troppo forti ed evidenti. La via è quella di riportare al centro della nostra attenzione la nostra dimensione culturale e spirituale”.
Luigi Filippi
Il Giornale dello Spettacolo

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