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Alessandro (Guerra) il furioso

Cavallerizzo d’altri tempi, Alessandro Guerra, anche perché è vissuto dal 1787 al 1862. Ma non solo per ragioni anagrafiche. Può essere considerato il pioniere dei direttori di compagnie circensi itineranti perché è stato fra i primi italiani a possedere un circo di una certa importanza e ad eseguire rinomate tournée all’estero.
E’ stato artista da cartellone in importanti compagnie. Un nome su tutti? Il Circus Gymnasticus di Christoph de Bach. Annoverava altri cavallerizzi di caratura dell’epoca (i fratelli Amato, Gaetano Ciniselli e Orazio Filippuzzi), ma ingaggiò senza tentennare una prima stella. Guerra non passa inosservato: esegue sul cavallo esercizi di equilibrio e giocoleria con spade e pugnali, salta attraverso botti aperte e suona vari strumenti. E’ una furia indomabile. Quando porta in scena la pantomima “La Gran Giostra”, il pubblico va in visibilio perché Guerra sembra essere nato per trovarsi immerso in un torneo fra cavalieri armati di lance, dardi, giavellotti, pistole e sciabole. Si dice avesse un carattere non poco autoritario, una tempra focosa e una grinta che diventarono il suo tratto distintivo di cavallerizzo. E’ così che Alessandro si guadagna il soprannome di “Il Furioso”.
Con Christoph de Bach non lavora solo. Si mette in affari, ma di cuore, con la figlia e finisce per sposarla. Con il circo del genero gira tutta l’Europa, fino a fondarne uno proprio alla scomparsa del vecchio direttore, nel 1826, nonostante le resistenze della vedova, la bella Laura de Bach, nel frattempo risposatasi. E lo battezza “Circo Romano” in omaggio alla città natale.
Batte l’Italia in lungo e in largo, soprattutto in una tournée di due anni, nel 1837-38, quando entra con successo nei teatri e nei politeama di Milano, Firenze, Bologna e Torino. Assume alcuni dei nomi più celebri del tempo: Bastien Franconi, Antonio Brand, Orazio Filippuzzi, Pasquale Amato e Jean Gartner. Ma a fare da calamita nel programma resta lui, il Furioso. E’ un perfetto cavallerizzo, eccellente nel dressage, l’alta scuola, le pantomime militari, le quadriglie e gli esercizi in grottesco.

La lapide dedicata ad Alessandro Guerra nella Certosa di Bologna, dove è sepolto

La sua fama è legata a ciò che sa fare in pista ma anche ad un altro tipo di arte, quella di farsi strada fra la concorrenza. Diventa celebre per il piglio aggressivo col quale affronta il mercato. A Berlino, ad esempio, deve vedersela col Circo Renz, ma non vince il confronto. In Scandinavia, a Stoccolma, fa costruire un circo in legno e si fa strada. A San Pietroburgo crea il Cirque Olympique, che diventa il luogo di ritrovo più gettonato delle classi altolocate della città. Quando arriva in città il Cirque de Paris con Cuzent e Lejars, Guerra non vuole essere da meno e ingaggia Carolina Loyo, Camille Leroux, Gaetano Ciniselli, Charles Price e una compagnia di saltatori arabi. Il coraggio e l’inventiva non gli mancano, ma spesso non bastano. Il Cirque de Paris vince la concorrenza e Guerra si sposta su un’altra scacchiera, Vienna. Nel 1853 torna in Italia con il Circo Romano, ma la fortuna non lo assiste e finisce in ristrettezze economiche, tanto che si vede costretto a vendere all’impresario francese Dejean ciò che ha di più caro, oltre che di più prezioso, i suoi cavalli ammaestrati. Si narra che qualche giorno dopo Guerra ricevette un’offerta per aprire una nuova società. Si diresse subito da Dejean per chiedergli di restituirgli quegli animali ai quali teneva più che alla propria vita. Ottenne però un rifiuto. Molto doloroso. Alessandro Guerra muore di lì a poco, nel 1862. Di malattia, ma forse anche per il dolore legato a questi ultimi sprazzi della sua esistenza.
Una nipote di Alessandro Guerra, Elvira, si conquisterà una buona fama come amazzone nei primi anni del ‘900, ma alla sua morte, nel 1931, non lascerà eredi. La dinastia del grande Furioso scomparirà per sempre.
“Alessandro Guerra, nei ludi equestri sommo, sempre invidiato ne mai vinto in sua maestria, fra tutte genti civili del globo visse anni LXXX. Alla salma di lui chiusa in questo marmo tributano lacrime e fiori la vedova, le figlie, gli amici”. Così lo ricorda la lapide posta sul suo sepolcro alla Certosa di Bologna, nella Galleria a Tre Navate.

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