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Acquatico Rossi, convenzioni secolari

di Massimo Locuratolo

Non è facile descrivere ogni formula, tra le molte possibili, che il circo tradizionale consente di praticare, né forse servirebbe a spiegarne il misterioso fascino. Il fatto che le variazioni sul tema di base siano diverse dipende dalla sua universalità – il circo è uguale a se stesso da sempre e in ogni luogo – o forse dal fatto che al grande pubblico, in fondo, piace così com’è. Per le famiglie tradizionali resta sempre il primo spettacolo dal vivo da far vedere ai bambini, ed è comodo che monti il tendone non lontano da casa. Inoltre i Direttori provenienti da famiglie circensi proteggono tenacemente la formula con cui sono cresciuti, che poi è l’unica che conoscono. Poco cambia nella percezione del pubblico tradizionale che il tendone sia quello dell’Americano, del Royal, del Florilegio, del circo Apollo, di uno degli svariati Orfei minori, di Tribertis o di una minuscola compagnia dal nome sconosciutissimo, tanto dal circo si sa bene in anticipo cosa aspettarsi. E che Cirque du Soleil abbia percorso per primo la strada aperta quarant’anni fa da Jerome Savary e Victoria Chaplin portando sotto il tendone un nuovo pubblico, che non era più quello tradizionale – o, almeno, non era più solamente quello delle famiglie – ma era invece sostanzialmente composto da un’utenza metropolitana più aggiornata, giovanile, istruita ed esigente – in fondo non ha cambiato i termini della questione. Nella grande provincia, non solo qui in Italia, la grande utenza neppure sa cosa siano Soleil, Zingaro, Plume o Flic Flac. La grande utenza sa che al circo si vedono giocolieri, acrobati, animali ammaestrati e clown, e ciò è quanto le basta. Tra le svariate formule del circo tradizionale c’è quella dello spettacolo acquatico. E nell’organigramma che organizza le varie categorie circensi troviamo quella del tendone minuscolo, della piccola compagnia famigliare, delle attrazioni modeste e senza novità. Qui, al posto dello sfarzo produttivo e mediatico, della risonanza dei nomi e della modernità delle strutture, a dare significato all’esperienza ci sono la dimensione artigianale dell’insieme – attrezzature e personale -, la passione e il mestiere, e un poco anche la tenerezza diffusa attorno al piccolo chapiteau sguarnito dove tutti fanno tutto. A ben vedere, questa è la dimensione in cui agivano le compagnie di Commedia dell’Arte Sei-Settecentesche, e in seguito anche le cosiddette “Famiglie d’Arte” del secondo Ottocento e della prima metà del Novecento che portavano il teatro nelle vaste zone rurali della penisola. Forse è questo uno dei segreti che legano il grande pubblico tradizionale al piccolo circo: nel DNA di entrambi sta scritto che sono vincolati da secoli di reciproca frequentazione.
Durante l’estate il Circo Acquatico di Davide Rossi ha girato la Liguria di ponente. Il piccolo chapiteau rettangolare blu era allestito all’interno con un palco teatrale circondato da tende di velluto rosso e qualche fila di sedie in plastica. L’impianto luci, formato da dodici proiettori a led colorati, era arricchito da due laser verdi in verità molto utilizzati, e anche abbastanza bene, per quasi tutto il breve spettacolo.
Il pre-show era affidato a un giovanissimo clown coi lunghi capelli acconciati da rasta che ha scaldato i bambini presenti con una versione semplificata dell’entrée del “cane invisibile al guinzaglio”. A lui erano poi affidati i siparietti comici tra un numero e l’altro e va detto che si è difeso abbastanza bene col numerino del bagnetto nella piscina assieme a un finto squalo, e in quello dell’uomo forzuto. Mimica semplice e ammiccante, era forse più animatore per bambini che clown e questo lo si è notato in special modo nella routine del ballo intorno alle sedie in cui, quando la musica si arresta, chi resta in piedi viene squalificato. I quattro bambini che hanno accettato di salire sul palco si sono in effetti divertiti, segno che la simpatia immediata del personaggio aveva avuto presa.
Dopo il balletto iniziale in costume piratesco eseguito dalle ragazze del cast, forse sul tema di una canzone che voleva spiegare il filo rosso dello spettacolo il quale, va detto francamente, si è perso subito, una di loro ha eseguito un bel numero di antipodismo con un cubo e un cilindro volteggianti nell’aria – anche se le luci, impietosamente, facevano notare lo stato malandato degli attrezzi – seguito da un’altra ragazza con gli hula-hoop. I bambini avevano gli occhi sgranati. Il terzo numero del primo tempo ha inaugurato la parte “acquatica” dello spettacolo. Il Direttore ha presentato una foca ubbidiente che nella replica a cui chi scrive ha assistito non ha eseguito nessun esercizio particolare, limitandosi a stare buona nell’attesa di un pesciolino come premio. Ancora una entrée del clown rasta dedicata ai bambini, e fine del primo tempo.
Il secondo è iniziato con un balletto sul filo teso eseguito dalla ragazza che poco prima stava alla cassa. L’esecuzione, impeccabile e sicura, ha strappato un bell’applauso spontaneo. Poco dopo sono entrati in scena tre pellicani piuttosto eccitati che si sono limitati a seguire l’ammaestratrice su e giù per il palco in attesa del consueto pesciolino. Qui lo spirito del circo originario si è rivelato appieno: nell’Ottocento gli spettacoli circensi, oltre che a presentare una serie di numeri di forza, abilità ed equilibrismo, servivano a mostrare dal vivo a un pubblico che non si era mai spostato dal suo quartiere gli animali esotici. Negli occhi dei bambini, quando sono entrati i pellicani, brillava il medesimo stupore che si presume abbia dato i brividi ai nostri progenitori quando videro per la prima volta liberi, e proprio davanti a loro, un leone, un elefante, una giraffa o addirittura un rinoceronte o un ippopotamo. E nell’attenzione con cui la famiglia Rossi curava i suoi animali – la foca e i pellicani, e a fine spettacolo l’ippopotamo nano e il leone marino – si è capito il senso di responsabilità e di attenzione nei confronti del patrimonio che le consente di vivere.
Dopo i pellicani e una prova difficile eseguita dal clown rasta (prima una sedia e poi una scala in alluminio tenute in equilibrio sul mento) è proseguita la parte acquatica dello show con il disvelamento, oltre il fondale di velluto rosso, di una vasca in vetro coi piranha in cui un sub ha eseguito una breve camminata. Il numero è terminato col buio, per consentire il sollevamento della parte anteriore del palco, e alla riaccensione delle luci c’è stata una breve esibizione di fontane danzanti a dir la verità non abbastanza valorizzata da un’illuminazione dedicata. Riabbassamento delle tavole anteriori per coprire la vasca delle fontane e balletto finale con tutta la troupe su una base musicale irlandese. Il Direttore a questo punto ha invitato le poche decine di presenti a recarsi dietro lo chapiteau per osservare l’ippopotamo nano e il leone marino.
Un paio di giorni dopo il Circo Acquatico ha smontato il tendone per recarsi in un’altra località del ponente ligure. I grossi camion col rimorchio hanno preso la strada di mattina presto e per qualche minuto hanno ingombrato l’Aurelia nel tratto che porta al casello autostradale. Alla guida di quello davanti si trovava il Direttore. Al volante del secondo c’era la ragazza che aveva eseguito il numero di antipodismo. A Nizza, cinquanta chilometri più in là, tre giorni dopo la loro partenza al Palais Nikaia ha debuttato “Alegria” del Cirque du Soleil.

L’articolo è pubblicato sulla rivista Circo di ottobre.

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